E’ fin troppo facile raccontare la mia camicia bianca.
E’ fin troppo facile dichiarare un amore che
si snoda come un filo rosso lungo tutto il mio percorso creativo. Un segno - forse “il” segno - del
mio stile, che dichiara una costante ricerca di novità ed un non meno costante amore per la
tradizione.
Tradizione e novità sono infatti gli elementi da cui prende il via la storia della camicia bianca Ferré.
La tradizione, il dato di partenza, è quella della camicia maschile, presenza codificata e
immancabile nel guardaroba, che ha fornito uno stimolo incredibile al mio desiderio di inventare,
alla mia propensione a rileggere i canoni dell’eleganza e
dello stile, giocando tra progetto e fantasia.
Letta con glamour e poesia, con libertà e slancio, la compassata e quasi immutabile camicia bianca
si è rivelata dotata di mille identità, capace di infinite modulazioni. Sino a divenire, credo, un must
della femminilità di oggi.
Questo processo di elaborazione rivela sempre un intervento ragionato sulle forme. Mai uguale a se
stessa, eppure inconfondibile nella sua identità, la blusa candida sa essere leggera e fluttuante,
impeccabile e severa quando conserva il taglio maschile, sontuosa ed avvolgente come una nuvola,
aderente e strizzata come un body. Può essere enfatizzata in alcune sue parti, il collo ed i polsi
innanzitutto, oppure ridotta ed intenzionalmente privata di alcune sue parti: la schiena, le spalle, le
maniche. Si impreziosisce di pizzi e ricami, è resa sexy dalle trasparenze, oppure incredibilmente
ricca ed importante da ruche e volant. Si gonfia e lievita con il movimento, quasi in assenza di
gravità. Svetta come una corolla incorniciando il viso. Scolpisce il corpo per trasformarsi in una
seconda pelle. E’ la versatile interprete delle più svariate valenze materiche: dell’organza
impalpabile, del taffettà croccante, del raso lucente, della duchesse, del popeline, della georgette, dello chiffon..
Nel lessico contemporaneo dell’eleganza, mi piace pensare che la mia camicia bianca sia un
termine di uso universale. Che però ognuno pronuncia come vuole..
Gianfranco Ferrè.
sono a Palazzo Reale a Milano, un giovedì sera. le mostre chiudono alle 22 e 30.
sono venuta a vedere due mostre, Growing roots e La camicia bianca secondo me, ovvero secondo Ferrè.
la prima, una retrospettiva che fa il punto sull’arte
italiana degli ultimi quindici anni attraverso le opere dei dieci
artisti vincitori del Premio Furla, mi fa sorridere, la seconda mi lascia di sasso.
sono nella sala delle Cariatidi e, pur trattandosi solo di camicie bianche, sono stupita.
l'allestimento è magico e sorprendente.
camicie bianche in fila, sembrano cadere dal soffitto, giochi di luce le illuminano e sembrano inquadrarle come personaggi in un film. emergono il bianco e il nero, c'è un'atmosfera di sospensione.
si gira un po' estasiati, le camicie sono bellissime, ai lati ci sono i disegni dello stilista e le foto delle modelle, Ferrè ha disegnato e realizzato giochi d'arte più che indumenti per la gente, quel che penso è che la moda non è per chi vive, ma solo nella penna dei suoi ideatori, un gusto personale per collocarsi nella memoria, nella storia del costume.
questo allestimento ha a che vedere con le fiabe, con l'estetica, con il sogno, la sala fa da contesto a uno spettacolo teatrale, e i soldi, mi dico, fanno la differenza.
un impatto scenografico di grandissimo stile, un momento a bocca aperta e di naso all'insù, camicie come fiori, boccioli bianchi nella notte, ovunque.
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