intanto è difficile immaginare, per me, un titolo più bello, nella traduzione italiana.
FURORE.
il titolo originario è THE GRAPES OF WRATH, letteralmente i grappoli d'ira.
il libro di John Steinbeck è biblico, apocalittico, epico. non lo dico certo io, lo si legge ovunque.
la mia passione è nata dalle prime pagine, una descrizione, che lascia senza fiato, delle tempeste di polvere (dust bowl) che hanno sotterrato tutto, uomini e case, fede e speranza, raccolto e vita, ed è l'inizio di una miseria senza fine, come senza fine è il sogno californiano, terra del latte del miele. questa antitesi è sempre presente, in tutto il romanzo, la degradazione della fame, della povertà e della perdita che però non cede mai alla disperazione, grazie alla speranza nella redenzione, nella resurrezione, nella forza dell'uomo: "Tutto quello che vive è sacro".
Dorothea Lange
CAPITOLO 1.
Nella regione rossa e in parte della regione grigia dell'Oklahoma le ultime piogge erano state
benigne, e non avevano lasciato profonde incisioni sulla faccia della terra, già tutta solcata di
cicatrici. Gli aratri avevano cancellato le superficiali impronte dei rivoletti di scolo. Le ultime
piogge avevano fatto rialzare la testa al granturco e stabilito colonie d'erbacce e d'ortiche sulle prode
dei fossi, così che il grigio e il rosso cupo cominciavano a scomparire sotto una coltre verdeggiante.
Agli ultimi di maggio il cielo impallidì e perdette le nuvole che aveva ospitate per così lungo tempo
al principio della primavera. Il sole prese a picchiare e continuò di giorno in giorno a picchiar
sempre più sodo sul giovane granturco finché vide ingiallire gli orli d'ogni singola baionetta verde.
Le nuvole tornarono, ma se ne andarono subito, e dopo qualche giorno non tentarono nemmeno più
di ritornare. Le erbacce si vestirono d'un verde più scuro per mascherarsi alla vista, e smisero di
moltiplicarsi. La terra si coprì d'una sottile crosta dura che impallidiva man mano che il cielo
impallidiva, e risultava rosa nella regione rossa, bianca nella grigia.
Nei solchetti scavati dall'acqua la terra si sgretolò in rigagnoli di polvere minuta, tosto percorsi da
innumerevoli processioni di formiche e formiconi. E sotto le sferzate ogni giorno più crudeli del
sole le foglie del giovane granturco perdevano la loro baldanza e la loro durezza; s'inchinavano,
dapprima, e poi, man mano che s'infiacchiva la loro colonna vertebrale, si prostravano. E venne il
giugno, e il sole diventò selvaggio; le strisce brune, sulle foglie del granturco, si estesero dagli orli
fino a toccare le colonne vertebrali. Le ortiche si sfrangiarono, si raggrinzirono, invecchiarono.
L'aria era afosa e il cielo più pallido e di giorno in giorno la terra incanutiva.
Sulle strade, mulinate dalle ruote dei carri e trebbiate dai ferri dei cavalli, la crosta della massicciata
andò in frantumi e creò la polvere. Le minime cose animate sollevavano questa polvere per aria: gli
uomini camminando sollevavano nuvolette che s'alzavano fino alla loro cintola; i carri, nuvole più
dense che raggiungevano le cime delle siepi; le automobili, nuvoloni che oscuravano il sole. E a
tutta questa polvere occorreva molto tempo per ricadere e posare.
Verso la metà di giugno le nuvole dei cielo, alte, pesanti, gravide di pioggia, si mobilitarono nel
Golfo ed iniziarono la loro marcia di invasione nel Texas. Gli uomini nei campi levavano gli occhi
verso di esse e annusavano l'aria e rizzavano diti bagnati di saliva per ragguagliarsi sulla
provenienza del vento. I cavalli diventavano inquieti. Le nuvole passando lasciarono precipitare
parte del loro carico e s'affrettarono ad invadere altre contrade, lasciandosi alle spalle il cielo pallido
come prima e il sole feroce, e nella polvere crateri pieni d'acqua, e nei campi di granturco chiazze
rinverdite.
Passate le nuvole arrivò un venticello che, sospingendole verso settentrione, faceva mormorar
sommesso il granturco annaffiato. Passò un giorno e il vento aumentò d'intensità e di costanza. La
polvere s'alzò dalle strade e coprì le ortiche dei fossi e si spinse anche addentro nei campi di
granturco. Il vento si fece impetuoso e si accanì nel rodere la crosta lasciata dall'acqua nei campi. A
poco a poco il cielo si oscurò, per i turbini di polvere che il vento sprigionava dalla terra e
trascinava via. Il vento si fece più impetuoso e sbriciolò la crosta formata dalla pioggia e la polvere
turbinò per i campi trascinando nell'aria piume grigiastre, come spirali di fumo. Il granturco,
flagellato dal vento, emetteva suoni secchi, rovinosi. La polvere impalpabile non ricadeva ormai più
sulla terra, ora, ma si disperdeva nell'oscurità del cielo.
Il vento si fece ancor più impetuoso e guizzando di tra le pietre sollevava con violenza paglia e
foglie morte e piccole zolle di terra, lasciando tracce al suo passaggio, al pari d'una nave tra i flutti.
Il sole splendeva rosso nell'aria oscura e fredda. Una notte il vento impazzò, zappò furiosamente la
terra attorno alle radici del granturco, e il granturco si mise a lottare per difesa contro il vento
agitando le sue foglie indebolite, ma nella lotta le radici risultarono denudate delle zolle di terra
protettrice ed ogni pianta risultò inclinata nella direzione del vento.
L'alba venne, ma non il giorno. Nel cielo grigio apparve un sole rosso, un fioco cerchio rosso che
emanava una scialba luce crepuscolare, e col progredire delle ore il crepuscolo ripiombò nella
tenebra e il vento fischiò ed urlò sul granturco abbattuto.
Uomini e donne stavano tappati in casa, e quando dovevano uscire si annodavano una pezzuola
davanti alla faccia per filtrare la polvere e portavano occhiali da automobilista per proteggersi gli
occhi.
La notte fu nera come l'inchiostro, perché le stelle non potevano penetrare attraverso la polvere per
raggiungere la tetra, e le luci accese nell'interno delle case non arrivavano nemmeno sull'aia. Ora
l'aria e la polvere erano mescolate insieme in parti uguali. Le case erano ermeticamente chiuse, con
tutte le fessure delle porte e delle finestre otturate da stracci; ma la polvere penetrava ugualmente
negli interni, così impalpabile che risultava invisibile, e si posava come polline sui tavoli, sulle
seggiole, sui piatti, sulle pietanze. Gli esseri umani se la spazzolavano di dosso, mentre strati di
polvere s'erano accumulati sulle soglie delle case.
A metà della notte il vento s'allontanò e lasciò il paese in pace, perché l'aria densa di polvere
smorzava ancor più della nebbia ogni rumore d'intorno. Le creature umane, coricate nei loro letti,
udirono che il vento era caduto: fu il cessare del vento a destarle. Ma non s'alzarono, continuarono a
giacere immobili tendendo l'orecchio al silenzio. Poi i galli cantarono, ma con voci smorzate, e le
creature umane si rivoltarono impazienti nei loro letti aspettando il mattino. Sapevano che
occorreva molto tempo alla polvere per ridiscendere a terra e lasciar pura l'aria. Difatti, venuto il
mattino, la polvere restava sospesa come nebbia, e il sole era di sangue. Per tutta la giornata e così
per tutto il giorno seguente piovve polvere, ricoprendo in modo eguale tutta la terra. Si posò sul
granturco, s'accumulò sulle filagne delle staccionate, sui fili di ferro, sui tetti, sulle ortiche, sugli
alberi.
Gli esseri umani uscirono dalle case e annusarono l'aria pungente e calda proteggendosi le nari
contro la polvere. E i piccoli, i bambini, uscirono anch'essi, ma senza gridare, senza correre come
avrebbero fatto dopo un comune temporale. Gli uomini s'appoggiarono coi gomiti sulle staccionate
e osservarono il granturco rovinato, quasi secco ormai, con solo qualche strisciolina di verde sotto
la pellicola di polvere. Gli uomini non parlavano, e si muovevano appena. E le donne uscirono di
casa e vennero a mettersi vicino ai loro uomini per sapere se era questa la volta che i loro uomini si
sarebbero dati per vinti. Le donne senza farsi vedere studiavano i visi dei loro uomini; perché al
granturco si poteva, alla fin fine, rinunciare, purché fosse salvo qualcos'altro. I piccoli, lì vicino,
disegnavano figure nella polvere coi diti dei piedi, e anch'essi inconsciamente studiavano i visi dei
genitori, per vedere se si sarebbero dati per vinti. Studiavano le facce dei genitori e disegnavano
figure nella polvere. I cavalli all'abbeverata, prima di arrischiarsi a bere, col labbro superiore
spazzavano il pelo dell'acqua. Dopo un poco, i visi degli uomini perdettero la loro stupefatta
perplessità ma acquistarono un'espressione dura, collerica, ostile. Allora le donne capirono che
erano salvi, che gli uomini non si davano per vinti, e allora ardirono domandare: Cosa facciamo? e
gli uomini risposero: Chi lo sa, ma le donne capirono che erano salvi, e i piccoli capirono che erano
salvi. Le donne e i piccoli avevano l'intima convinzione che nessun disastro era catastrofico se i loro
uomini non si arrendevano. Le donne rientrarono in casa alle loro faccende, e i piccoli
cominciarono a giocare, ma con discrezione, sulle prime. Col progredire del giorno il sole, meno
rosso, ricominciò a scaldare la terra impolverata. Gli uomini, seduti sui gradini d'accesso alle loro
case, s'occupavano a disegnar figure in terra servendosi di fuscelli o di sassolini. Non parlavano;
meditavano, calcolavano.
2 commenti:
Ciao Rossa, il mio autore preferito! Da scarsissimo lettore quale sono, nei suoi libri mi immergo, attratto dalla pagina che segue. Lo scoprii non molto tempo fa, e ho davvero goduto della trilogia "Quel fantastico giovedì", "Vicolo Cannery" e "Pian della tortilla". E poi Furore, Uomini e Topi e I pascoli del cielo. Steinbeck è un capolavoro.
E ti abbraccio e saluto tanto
ciao enzo. io ho letto solo Furore, ma ho altri libri come Vicolo Cannery...dato il tuo entusiasmo, e anche il mio, mi avventurero.
un saluto
Rossa
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