bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

domenica 6 luglio 2014

voglio un pensiero... da Hanna Arendt

Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. " (La banalità del male)

è che fuma, non smette di fumare per un solo minuto per tutto il film. una sigaretta via l'altra.
è singolare, o ineluttabile?, scampare ai campi di sterminio nazisti e poi coltivare la propria morte ogni giorno, inesorabilmente.
credo infatti sia morta di infarto, a 69 anni.

ma, al di là di questo particolare, che comunque è un gesto ossessionante che accompagna la sua immagine per tutto il film, Hannah Arendt è stata una figura, filosofa e scrittrice, eccezionale.
il film che la descrive è di Margarethe von Trotta, del 2012. l'attrice è Barbara Sukova.
la fantasia su questa donna mi porta lontano, come è stato, qualche anno fa, per Ulrike Meinhof (http://nuovateoria.blogspot.it/2008/11/voglio-una-vitada-ulrike-meinhof.html). 
sono morbosamente attratta dall'intelligenza e dall'intuizione delle donne, quando così autonome, potenti, forti, convincenti di pensiero. Hanna Arendt si è esposta alla totale incomprensione, e condanna, del mondo intellettuale e non, in anni così caldi dopo la fine e la ripresa economica dalla seconda guerra mondiale, esponendo un pensiero indipendente, e originale, sulla natura del male e del totalitarismo. la sua osservazione è lucida e senza pregiudizio, incondizionata e inconfutabile, eppure interpretata come a difesa dei crimini nazisti, quando invece è a lettura e lezione dell'origine e della perpetuazione del male.
pensare, questo sa fare Hannah, pensare e riflettere. osservare e meditare. sembra una banalità, eppure è una dote rara e preziosissima. pensare pensiamo tutti, così crediamo, ma pensare è una categoria filosofica superiore, non è la prima idea che ci passa per la testa. Hannah fu allieva, sentimentalmente legata, di Martin Heidegger e molto, sicuramente, imparò. provo un'invidia cocente, quanto quella che una qualsiasi donna oggi proverebbe per Angelina Jolie o qualsiasi modella di Victoria's Secret. ma io sono ipnotizzata dall'intelligenza, molto più che dalle gambe lunghe: " Io non credo che possa esistere qualche processo di pensiero senza esperienze personali. Tutto il pensiero è meditazioni (Nachdenken), pensare in seguito a una cosa. "
e nel film, si vede, pensa. sigaretta in bocca, sdraiata nel suo studio, occhi chiusi.
pensa a Eichmann, al suo processo, alla natura del male, al crollo etico nell'Europa travolta dal nazismo, pensa all'importanza del pensiero. saper pensare esclude il male, perchè il male è solo estremo, dice, non radicale, solo il bene è profondo e radicale. 
E' anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. E' una sfida al pensiero, come ho scritto, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s'interessa al male viene frustrato, perché non c'è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale. " (Scambio di lettere con Gershom Scholem)
il film ricostruisce un periodo fondamentale della vita di Hannah Arendt: quello tra il 1960 e il 1964. all'inizio della vicenda, la cinquantenne intellettuale ebrea - tedesca, emigrata negli Stati Uniti nel 1940, vive a New York con il marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, ha già pubblicato testi fondamentali di teoria filosofica e politica e insegna in una prestigiosa Università. nel 1961, quando il Servizio Segreto israeliano rapisce il criminale di guerra nazista Adolf Eichmann la Arendt si sente obbligata a seguire il successivo storico processo che si tiene a Gerusalemme. Hannah nota che Eichmann è un mediocre burocrate, che si dichiara semplice esecutore di ordini odiosi e, d'altro canto, si sorprende nell'ascoltare testimonianze di sopravvissuti che mettono in evidenza la condiscendenza dei leader delle comunità ebraiche in Europa, di fronte ai nazisti. dai suoi resoconti, e in seguito dal suo libro, "La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme" (1963), emerge la controversa teoria per cui proprio l'assenza di radici e di memoria e la mancata riflessione sulla responsabilità delle proprie azioni criminali farebbero sì che esseri spesso banali si trasformino in autentici agenti del male. guarda Eichman durante il processo e vede un uomo, un uomo normale, nulla di demoniaco o satanico, nessun fanatismo, nessun estremismo: un burocrate che faceva senza pensare il suo mestiere, obbediva gli ordini, certamente aveva la scrivania in ordine, seguiva in modo impeccabile e rigoroso, ottuso e ossessivo, l'ufficio dei trasporti. quali? le deportazioni degli ebrei nei campi di sterminio. ho ascoltato le registrazioni del processo - non tutte! qualcuna- e alla domanda se fosse consapevole delle sofferenze che infliggeva al popolo ebraico già a partire dalla fase di deportazione- famiglie separate, frammentate, strappate, giorni interi, fino anche a una settimana, stipati nei vagoni in attesa di partire, il freddo, le sofferenze, la fame la sete, i bambini e gli anziani, le botte e le privazioni- Eichmann risponde da segretario: eravamo consapevoli del caos e dei ritardi, sapevamo che in convogli non partivano, c'erano dei disguidi, cercavamo di METTERE ORDINE...Eichmann è un uomo “col raffreddore”, chiuso in una gabbia, che ripete instancabilmente la sua verità: se mi avessero chiesto di uccidere mio padre l’avrei fatto, era un segmento di un sistema, organizzava i treni “ma per lui, una volta partiti, il suo compito era finito”, come spiega Arendt. “Si sente in pace con la sua coscienza?”, chiede a Eichmann il pubblico ministero. “La mia coscienza si fondava su "una scissione consapevole" dovuta a un duro addestramento e all’educazione di una visione del mondo”, risponde. Eichmann è, dunque, un uomo qualunque, un impiegato qualunque che non sa, o non vuole sapere, o che sa ma non ragiona, non pensa e non sa pensare, che sa ma che non da peso. Eichmann potrebbere essere uno qualunque, un impiegato delle poste cui affidiamo una raccomandata. uno di noi. è questa la tragedia.
ad è questa la riflessione sconvolgente di Hanna Arendt: vede che nell'Europa del nazismo il crollo etico e morale aveva trasformato l'uomo in un bene superfluo, un essere inutile, uno scarto di cui ci si può disfare senza che questa mostruosità avesse di fatto mosso il terrore di chi se ne faceva promotore, un vuoto di pensiero abissale che incrementava il male in modo meccanico, ripetitivo, automatizzato, usuale, banale. 
Non era stupido, era semplicemente senza idee[...]. Quella lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee, possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell'uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, né una teoria. " (La banalità del male)
non posso non pensare a The reader, film in cui il  personaggio, una donna analfabeta responsabile durante il nazismo della morte di 300 donne bruciate in una chiesa, manca di qualcosa. si intuisce durante il processo, che la sua ignoranza è un'ignoranza globale, totale, di sè. di sè e del mondo. è l'universale annullamento della coscienza e della consapevolezza a favore di un automatismo cieco, di un'obbedienza acefala, di un'adesione senza pensiero. lei obbedisce e non capisce cosa avrebbe mai dovuto fare altrimenti. come se una parte del cervello si spegnesse e non rispondesse alle sollecitazioni dell'anima a favore di una reiterazione ossessiva e senza riflessione autonoma.
non posso non pensare a Se questo è un uomo, in cui Primo Levi dice senza vergogna dell'annullamento del senso dell'essere uomo, del vero annientamento espletato dai nazisti sugli uomini ovvero non solo quello dei corpi ma soprattutto quello di annullare la loro coscienza di sè. Noi giacevamo in un mondo di morti e di larve. L’ultima traccia di civiltà era sparita intorno a noi e dentro di noi. L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento dai tedeschi disfatti. È uomo chi uccide, è uomo chi fa o subisce ingiustizia; non è uomo chi, perso ogni ritegno, divide il letto con un cadavere. Chi ha atteso che il suo vicino finisse di morire per togliergli un quarto di pane, è, pur senza sua colpa, più lontano dal modello dell’uomo pensante, che il più rozzo pigmeo e il sadico più atroce. Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo.

il film è lucido e senza retorica, la Sukova è brava e credibile, fuma e pensa, si indigna ma, al contempo, mantiene un estremo rigore, di forma e di comportamento, assume su di sé l'infamia della calunnia e dell'insulto ma non si piega, mantiene ferma la sua posizione, si espone e si esprime, con forza, con vigore, con convinzione e fermezza. perde l'appoggio di molti amici, anche cari, comprende che l'assunzione di responsabiiltà rispetto a ciò che affermiamo ha conseguenze, personali e civili, inevitabili. ma necessarie.
il pensiero è necessario, necessario alla profondità del bene, e necessario all'infondatezza del male, al suo "ininsediamento", necessario a dimostrare la banalità del male ed evitarne l'estremizzazione.
la difesa contro il male è sempre nel pensiero, radicato nelle emozioni e nella storia, quel pensiero, anche se si allontanerà sempre di più dall’idea di Heidegger secondo cui “si pensa da soli”, è legato comunque a un individuo, a un soggetto individuale, al quale unicamente possono ricondursi colpe e responsabilità.  “Io non amo un popolo, ma solo i miei amici”, risponde Hannah Arendt, radicata dentro una tradizione liberale che la portava non solo a essere garantista con lo stesso Eichmann (pur chiedendone la punizione: ma solo per le sue specifiche colpe, non per quelle di tutti, “perché si può processare solo una persona, non un popolo”), ma anche a chiamare in cause le responsabilità di alcuni capi ebraici, senza la cui attiva collaborazione, scrive, “le vittime sarebbero state sicuramente di meno”.
I lager sono i laboratori dove si sperimenta la trasformazione della natura umana[...]. Finora la convinzione che tutto sia possibile sembra aver provato soltanto che tutto può essere distrutto. Ma nel loro sforzo di tradurla in pratica, i regimi totalitari hanno scoperto, senza saperlo, che ci sono crimini che gli uomini non possono né punire né perdonare. Quando l'impossibile è stato reso possibile, è diventato il male assoluto, impunibile e imperdonabile, che non poteva più essere compreso e spiegato coi malvagi motivi dell'interesse egoistico, dell'avidità, dell'invidia, del risentimento; e che quindi la collera non poteva vendicare, la carità sopportare, l'amicizia perdonare, la legge punire. " (Le origini del totalitarismo)

2 commenti:

corte sconta ha detto...

letto il post:da lunedì nero si sta già trasformando..buona settimana a te Rossa.

Rossa ha detto...

mah, meno male, son servita a qualcosa... il mio lunedì è rimasto nero invece...buona settimana Corte Sconta