un bel regalo, il finale della Milanesiana 2014, almeno il mio finale.
sono al Franco Parenti, seduta a lato addossata a una parete di mattoni rossi della sala principale, grande ma piccola per la coda di gente che cerca di entrare. io ormai lo so che non si entra tutti e cerco di venire sempre con un ossessivo anticipo oceanico, che poi mi ripaga della mia fatica, del mio sintomo.
c'è anche una foto della sala vista dal palco e io sono lì, in alto a destra, bella contenta del mio posto a sedere.
c 'è da dire che la signora alla mia destra -stile vetero hippy davvero inconsueto- mi tormenta di domande noiose sui prossimi appuntamenti, le sedi, gli orari..."non lo so, c'è un programma, lo trova all'entrata e a fine serata la Sgarbi comunica sempre cosa si farà di bello il giorno dopo", dico io..."ah davvero? non mi sembra proprio", mi dice la signora," non l'ha mai fatto!!" e già qui capisco che qualcosa non va, la Sgarbi -alla quale non posso perdonare una serie infinita di scarpe indegne e mortificanti mostrate in diverse occasioni per altro a offesa di vestiti spesso gradevoli e appropriati- è più ossessiva di me, non c'è sera in cui non faccia, oltre alla citazione del numero della serata in corso, tutta la rassegna di quel che ha da venire. inoltre la signora mi ipotizza la presenza, domani, a una serata di canto, di Celentano. e qui non so se disperarmi o ridere, vorrei dire alla signora che ha sbagliato rassegna e città, non so più cosa aspettarmi, spero solo che d'ora in poi stia zitta e si ravveda al più presto che il nome della via del teatro era simile alla sede di registrazione della Rai...
inoltre ho davanti una coppia di innamorati, della nuova serie, non quella di Peynet, con cellulare oltre i 500 euro -quindi nemmeno giovanissimi- che si tormenta e si sfinisce di selfie inutili e tutti uguali, foto brutte da cancellare con i volti distorti dalla vicinanza dello schermo, in un continuo movimento ondulatorio, da destra a sinistra e viceversa, avanti e indietro, luce fastidiosa dello schermo nella sala buia e, teoricamente, concentrata sullo spettacolo, un vero tormento per me, diciamolo. li ho già squalificati e li immagino a inviarsi sms al veleno nel giro di pochissimi mesi, con tanto di foto scattate a supporto di quel che eri e ora non sei più. amen.
mi piace lo spettacolo, la sua presentazione prima e il suo svolgimento dopo.
per spiegare lo spettacolo prendo a prestito un articolo del corriere di domenica scorsa
«Senza quell'infanzia devastata che lo segnò intimamente, senza le ferite del cuore, senza la voglia di rivalsa, di affermare la propria identità, il cinema di Truffaut non sarebbe stato lo stesso. Quel grumo di dolore, quell'impasto di tormento e amarezza hanno plasmato la sua arte». A rendere omaggio a François Truffaut è Sergio Rubini, protagonista l'8 luglio al Teatro Franco Parenti, in anteprima assoluta per Milanesiana, di Finalmente Truffaut, di Mario Sesti e Valerio Cappelli (con la regia di Luca Volpatti). Regista, sceneggiatore e critico, Truffaut (1932-1984) fu con Godard, Chabrol, Rohmer e Rivette tra i protagonisti della Nouvelle Vague. E, spiega Rubini, «con quel suo amalgamare vita privata e filmografia intendeva non far patire ad altri le sue stesse sofferenze. Certi artisti sono come dei vate- osserva l'attore e regista- esplorano mondi in cui, se ci piacciono, possiamo entrare; o, se ci fanno orrore, evitare. La sua giovinezza fu segnata da una madre anaffettiva, distante. Cercò di compensarne l'assenza con l'ossessione bulimica per le donne. Tentare però di recuperare da adulti quello che non si è avuto da bambini è impossibile. In lui rimarrà, inappagato, un continuo bisogno d'amore».
Cosa ci ha lasciato, secondo lei, Truffaut? «Una grande lezione: anche nei momenti più bui non dobbiamo perdere la speranza, luce di cui l?essere umano ha bisogno per vivere. Truffaut si consacrò all?arte come testimonia, prima ancora dei suoi film, la sua biografia: l?infanzia ferita, la fuga dalla colonia, il riformatorio da ragazzino e poi, da adulto, la diserzione dall?esercito, un tentativo di suicidio per un amore finito male e infine il riscatto. La sua vita privata è una lezione necessaria: abbiamo bisogno di un sognatore visionario che torni a segnarci la strada. Mi sembra una straordinaria opportunità per rileggere il presente. E provare a riscriverlo».
Cosa ci ha lasciato, secondo lei, Truffaut? «Una grande lezione: anche nei momenti più bui non dobbiamo perdere la speranza, luce di cui l?essere umano ha bisogno per vivere. Truffaut si consacrò all?arte come testimonia, prima ancora dei suoi film, la sua biografia: l?infanzia ferita, la fuga dalla colonia, il riformatorio da ragazzino e poi, da adulto, la diserzione dall?esercito, un tentativo di suicidio per un amore finito male e infine il riscatto. La sua vita privata è una lezione necessaria: abbiamo bisogno di un sognatore visionario che torni a segnarci la strada. Mi sembra una straordinaria opportunità per rileggere il presente. E provare a riscriverlo».
lo spettacolo si basa sulla lettura e interpretazione di lettere tra l'autore e amici e altri registi. il bello è entrare nel vivo della vita di Truffaut, carpirne lo stile al di là della sua cinematografia, ascoltarne gli umori e l'irruenza, la malinconia e l'enfasi, lo spirito critico caustico e il desiderio di rivalsa.
è straordinaria la lettera al padre in seguito all'uscita de I 400 colpi (di chiara ed evidente natura autobiografica), e a Jean Luc Godard, dopo l'uscita di Effetto Notte.
queste le parole di Godard: “Ho visto ieri “Effetto notte”. Probabilmente nessuno ti dirà che sei un bugiardo, così lo faccio io. [...]Tu dici che i film sono dei grandi treni nella notte, ma chi prende il treno, in che classe, e chi lo guida con la spia della direzione di fianco? [...]Visto Effetto notte dovresti aiutarmi, perché gli spettatori non credano che i film si fanno solo come i tuoi.”
Truffaut, risponde: “Me ne strasbatto di quel che pensi di “Effetto notte”. Quel che trovo penoso da parte tua è il fatto di andare, ancora oggi, a vedere un film di cui conosci in anticipo il contenuto, che non corrisponde né alla tua idea di cinema né alla tua idea di vita. [...] Tu hai cambiato la tua vita, il tuo cervello e nonostante questo tu continui a perdere ore al cinema a farti male agli occhi. Perché? Per trovare di che alimentare il tuo disprezzo per noi tutti, per rinforzarti nelle tue nuove certezze?”. la lettura, per intero, dei due passaggi è molto accattivante, Rubini è straordinario e sottolinea con talento il calore di Truffaut che risponde con compiutezza e passione alla lettera breve e fredda di Godard.
come sottolineato da Stefano Salis nella presentazione allo spettacolo, le immagini finali de I 400 colpi, il film di esordio, sono una dedica appassionata, una lettera d'amore per il cinema, una confessione immediata della propria incurabile inquietudine e debolezza, una domanda incessante e disperata sulla vita in attesa di risposta. durante una partita di pallone nel riformatorio nel quale è stato rinchiuso, il dodicenne Antoine, alter ego di Truffaut, approfitta della disattenzione dei sorveglianti e fugge. con una lunga corsa arriva sino al mare (che non aveva mai visto prima), si spinge sino alla battigia, si volta dopo essere entrato con tutte le scarpe nell'acqua e il film finisce con un fermo immagine che ne inquadra lo sguardo sconcertato e pieno di dolore, il mare arresta la sua fuga ma non la sua domanda di vita. Fin.
bello il finale della Milanesiana, il finale di Truffaut.
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