quanta gente lavora, quanta gente fa, quanta crea, magari anche con talento, quante sinapsi entrano in contatto, quanti neurotrasmettitori circolano nell'area limbica, quante ma quante iniziative personali e sociali e cittadine possono prendere vita e quante, di fatto, se ne possono conoscere.
a volte temo di essere catturata, come lo fu mio padre, dalla sindrome del sapere tutto, del vedere tutto, del godere di tutto, che è una traduzione de facto di una gravissima sindrome ossessiva di onnipotenza e che tradisce, probabilmente, un terrore primitivo del vuoto.
ma al di là delle mie patologie, che curo da anni senza successo, questo breve viaggio nell'impossible project della fotografia istantanea, che mi ha portato in appartamenti privati, gallerie d'arte contemporanea e spazi ex industriali riadattati della mia Milano ancora sconosciuta, mi ha permesso di vedere diapositive non tutte belle ma alcune pregevolissime, di sbirciare tra i sogni sfumati e opachi di molti artisti, di indovinare le pieghe di corpi tonici e altri meno good looking, di immaginare le tecniche della sfuocatura e dell'accensione di colori tanto innaturali quanto suggestivi, di constatare per l'ennesima volta come l'occhio umano vede cose molto diverse a seconda del cervello che lo governa. inutile cercare la verità, non esiste, inutile imporre e esigere la sincerità, non alberga in noi, inutile. ogni cervello è un circuito a sè, possiamo solo sperare che alcune immagini degli altri somiglino alle nostre e cercare quelche disperato, ma esaltante, punto di contatto.
non so se guardi me, ma io certamente, per qualche attimo, ho guardato te pensando allo sguardo che ti cercava.
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