bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 28 novembre 2019

la barba

Solo da Pilade si poteva vedere il proprietario di un cotonificio, in eschimo e barba, giocare a otto americano con un futuro latitante, in doppiopetto e cravatta. Eravamo agli albori di un grande rovesciamento di paradigma. Ancora all'inizio degli anni sessanta la barba era fascista — ma occorreva disegnarne il profilo, rasandola sulle guance, alla Italo Balbo — nel sessantotto era stata contestataria, e ora stava diventando neutra e universale, scelta di libertà. La barba è sempre stata maschera (ci si mette una barba finta per non essere riconosciuti), ma in quello scorcio d'inizio anni settanta ci si poteva camuffare con una barba vera. Si poteva mentire dicendo la verità, anzi, rendendo la verità enigmatica e sfuggente, perché di fronte a una barba non si poteva più inferire l'ideologia del barbuto. Ma quella sera, la barba risplendeva anche sui volti glabri di chi, non portandola, lasciava capire che avrebbe potuto coltivarla e vi aveva rinunciato solo per sfida.

Il pendolo di Faucault
Umberto Eco

volti ideali







più difficile appassionarsi ai soli volti
esercizi di stile e di maestria
i volti velati sono stati i miei favoriti
ma l'aspetto più bello della mostra - i volti ideali di Canova alla GAM- è la scelta espositiva, dispositiva delle opere.
l'atmosfera

a seguire altri autori, presenti in mostra come modelli o confronti
vedi sotto Wildt
che è sempre da brivido.











domenica 24 novembre 2019

tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire

piove
 
da giorni

settimane
sono dentro Blade Runner
in fondo l'ho sempre un po' desiderato

tex mex

cara Mina,
per giove!!
già ti amavo, ora ti venero.
anch'io ti ho desiderata, allora sono tornata
mi hai riportato Fossati
e me lo hai riportato proprio tu.
quello aveva detto dasvidania tovarish, ti sente a telefono e dice of course, I'm coming.
meravigliose canzonette
fanno già festa i cani del mio cuore
meravigliosa tex mex
parole voci musica video sinergia ritmo
c'è tutto
gli occhi sanno, molto più delle parole sanno.


venerdì 22 novembre 2019

Donna con la gonna

Voglio una donna "donna"
Donna "donna"
Donna con la gonna
Gonna gonna
Voglio una donna "donna"
Donna "donna"
Donna con la gonna
Gonna gonna

così cantava Vecchioni (non il mio preferito certamente) nel 1992

Prendila te quella che fa il "Leasing"
Che s'innamori di te la Capitana Nemo
Quella che va al "Briefing"
Perché lei è del ramo
E viene via dal "Meeting"
Stronza come un uomo
Sola come un uomo

insomma mica male, come dargli torto.
io sono d'accordo.
il fatto è, caro Vecchioni, che di gonne in giro non se ne trovano.
i negozi per donna , quelli in voga, non hanno gonne in vendita.
ieri sono passata da Benetton, poi un giro da HM, un salto dentro Cos (che razza di negozio mammamia, tutti sacchi informi, ci manca solo che siano di juta) e probabilmente è così anche da Zara e
DI GONNE NESSUNA NOTIZIA
solo pantaloni, tutti uguali, un esercito di femmine in divisa con i pantaloni.
voi vedete ragazze in gonna?
no,
solo leggins o jeans (a volte ancora stracciati!! che orrore).
donne?
nemmeno.
io non voglio essere stronza come un uomo, non ci tengo, ve lo lascio il primato dell'impulsività aggressiva (ma quante donne invece si vestono così), a qualche briefing in effetti partecipo, ma non lo dico a nessuno, dai; capitana Nemo o Rachete non sono, e amo infinitamente le gonne, con una bella scarpa, una inveterata Décolleté (la divisa ora prevede lo stiletto o stivaletto corto che sega le gambe con effetti non proprio nè di eleganza ma soprattutto di impietoso dimezzamento e raccorciamento della figura, fatta eccezzione per poche fortunate gazzelle in giro).
gonna è donna, diciamolo.

giovedì 21 novembre 2019

Nomad, in the footsteps of Bruce Chatwin



un film documentario  di Werner Herzog
Filmmaker Festival, Milano





cosa posso dire, un vero bel film.
bello dall'ambientazione alla fotografia, dalla qualità delle interviste alla ricostruzione della figura umana e artistica di Bruce Chatwin, la cui ricerca nella vita mi risulta misteriosa, inquietante, quasi sovrannaturale, come se in vita avesse cercato la spiegazione della propria futura morte in una circolazione infinita della materia, dello spirito e del sacro
e
sopra tutto
oltre tutto
nella testimonianza commossa di un uomo verso un amico.
«L’unica persona con la quale potessi avere una conversazione da pari a pari su quello che chiamerei l’aspetto sacrale del camminare. Lui e io abbiamo in comune la convinzione che camminare non è semplicemente terapeutico per l’individuo ma è un’attività poetica che può guarire il mondo dei suoi mali» scrisse Bruce Chatwin di Herzog.
ecco, dopo 30 anni, stano ancora camminando insieme.

Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti.

"E lei cosa fa?" mi aveva chiesto una sera che ci eravamo appoggiati tutti e due all'angolo estremo del -banco di zinco, pressati da una folla da grandi occasioni. Era il periodo in cui tutti si davano del tu, gli studenti ai professori e i professori agli studenti. Non parliamo della popo- lazione di Pilade: "Pagami da bere," diceva lo studente con l'eschimo al caporedattore del grande quotidiano. Sembrava di essere a Pietroburgo ai tempi del giovane Sklovskij. Tutti Majakovskij e nessun Zivago. Belbo non si sottraeva al tu generalizzato, ma era evidente che lo comminava per disprezzo. Dava del tu per mostrare che rispondeva alla volgarità con la volgarità, ma che esisteva un abisso tra prendersi confidenza ed essere in confidenza. Lo vidi dare del tu con affetto, o con passione, poche volte e a poche persone, Diotallevi, qualche donna. A chi stimava, senza conoscere da molto tempo, dava del lei. Così fece con me per tutto il tempo che lavorammo insieme, e io apprezzai il privilegio.
"E lei cosa fa?" mi aveva chiesto, ora lo so, con simpatia. 
 "Nella vita o nel teatro?" dissi, accennando al palcoscenico Pilade. 
"Nella vita." 
 "Studio." 
 "Fa l'università o studia?" 
 "Non le parrà vero ma le due cose non si contraddicono. Sto finendo una tesi sui Templari." 
 "Oh che brutta cosa," disse. "Non è una faccenda per matti?" 
 "Io studio quelli veri. I documenti del processo. Ma che cosa sa lei sui Templari?" 
 "Io lavoro in una casa editrice e in una casa editrice vengono savi e matti. Il mestiere del redattore è riconoscere a colpo d'occhio i matti. Quando uno tira in ballo i Templari è quasi sempre un matto." "Non me lo dica. II loro nome è legione. Ma non tutti i matti parleranno dei Templari. Gli altri come li riconosce?" 
 "Mestiere. Adesso le spiego, lei che è giovane. A proposito, come si chiama?" 
 "Casaubon." 
 "Non era un personaggio di Middlemarch?" 
 "Non so. In ogni caso era anche un filologo del Rinascimento, credo. Ma non siamo parenti." 
 "Sarà per un'altra volta. Beve ancora una cosa? Altri due, Pilade, grazie. Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." 
 "Avanza qualcosa?" 
 "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io. Ma insomma, chiunque, a ben vedere, partecipa di una di queste categorie. Ciascuno di noi ogni tanto è cretino, imbecille, stupido o matto. Diciamo che la persona normale è quella che mescola in misura ragionevole tutte queste componenti, questi tipi ideali." 
 "Idealtypen." 
 "Bravo. Sa anche il tedesco?" 
"Lo mastico per le bibliografie." 
 "Ai miei tempi chi sapeva il tedesco non si laureava più. Passava la vita a sapere il tedesco. Credo che oggi succeda col cinese." 
 "Io non lo so abbastanza, così mi laureo. Ma torni alla sua tipologia. Cos'è il genio, Einstein, per dire?"
 "Il genio è quello che fa giocare una componente in modo vertiginoso, nutrendola con le altre." Bevve. 
Disse: 
"Buonasera bellissima. Hai ancora tentato il suicidio?" 
 "No," rispose la passante, "ora sono in un collettivo." 
 "Brava," le disse Belbo. 
Ritornò a me: "Si possono fare anche suicidi collettivi, non crede?" 
 "Ma i matti?" 
 "Spero non abbia preso la mia teoria per oro colato. Non sto mettendo a posto l'universo. Sto dicendo cosa è un matto per una casa editrice. La teoria è ad hoc, va bene?" 
 "Va bene. Adesso offro io." 
 "Va bene. Pilade, per favore meno ghiaccio. Se no entra subito in circolo. Allora. Il cretino non parla neppure, sbava, è spastico. Si pianta il gelato sulla fronte, per mancanza di coordina- mento. Entra nella porta girevole per il verso opposto.
 "Come fa?" 
 "Lui ci riesce. Per questo è cretino. Non ci interessa, lo riconosci subito, e non viene nelle case editrici. Lasciamolo lì." 
 "Lasciamolo." 
 "Essere imbecille è più complesso. È un comportamento sociale. L'imbecille è quello che parla sempre fuori del bicchiere." 
 "In che senso?"
 "Così." 
Puntò l'indice a picco fuori del suo bicchiere, indicando il banco. 
"Lui vuole parlare di quello che c'è nel bicchiere, ma com'è come non è, parla fuori. Se vuole, in termini comuni, è quello che fa la gaffe, che domanda come sta la sua bella signora al tipo che è stato appena abbandonato dalla moglie. Rendo l'idea?"
"Rende. Ne conosco." 
 "L'imbecille è molto richiesto, specie nelle occasioni mondane. Mette tutti in imbarazzo, ma poi offre occasioni di commento. Nella sua forma positiva, diventa diplomatico. Parla fuori del bicchiere quando la gaffe l'hanno fatta gli altri, fa deviare i discorsi. Ma non ci interessa, non è mai creativo, lavora di riporto, quindi non viene a offrire manoscritti nelle case editrici. L'imbecille non dice che il gatto abbaia, parla del gatto quando gli altri parlano del cane. Sbaglia le regole di conversazione e quando sbaglia bene è sublime. Credo che sia una razza in via di estinzione, è un portatore di virtù eminentemente borghesi. Ci vuole un salotto Verdurin, o addirittura casa Guermantes. Leggete ancora queste cose voi studenti?" 
 "Io sì." 
 "L'imbecille è Gioacchino Murat che passa in rassegna i suoi ufficiali e ne vede uno, decoratissimo, della Martinica. "Vous étes nègre?' gli domanda. E quello: 'Otri mon général!' E Mu- rat: "Bravò, bravò, continuez!' E via. Mi segue? Scusi ma questa sera sto festeggiando una decisione storica della mia vita. Ho smesso di bere. Un altro? Non risponda, mi fa sentir colpevole. Pilade!" 
 "E lo stupido?" 
 "Ah. Lo stupido non sbaglia nel comportamento. Sbaglia nel ragionamento. E quello che dice che tutti i cani sono animali domestici e tutti i cani abbaiano, ma anche i gatti sono animali domestici e quindi abbaiano. Oppure che tutti gli ateniesi sono mortali, tutti gli abitanti del Pireo sono mortali, quindi tutti gli abitanti del Pireo sono ateniesi." 
 "Che è vero." 
 "Sì, ma per caso. Lo stupido può anche dire una cosa giusta, ma per ragioni sbagliate." 
"Si possono dire cose sbagliate, basta che le ragioni siano giuste." 
 "Perdio. Altrimenti perché faticare tanto ad essere animali razionali?" 
 "Tutte le grandi scimmie antropomorfe discendono da forme di vita inferiori, gli uomini discendono da forme di vita inferiori, quindi tutti gli uomini sono grandi scimmie antropomorfe." 
 "Abbastanza buona. Siamo già sulla soglia in cui lei sospetta che qualche cosa non quadri, ma ci vuole un certo lavoro per dimostrare cosa e perché. Lo stupido è insidiosissimo. L'imbecille lo riconosci subito (per non parlare del cretino), mentre lo stupido ragiona quasi come te, salvo uno scarto infinitesimale. E un maestro di paralogismi. Non c'è salvezza per il redattore editoriale, dovrebbe spendere un'eternità. Si pubblicano molti libri di stupidi perché di primo acchito ci convincono. Il redattore editoriale non è tenuto a riconoscere lo stupido. Non lo fa l'accademia delle scienze, perché dovrebbe farlo l'editoria?" 
 "Non lo fa la filosofia. L'argomento ontologico di sant'Anselmo è stupido. Dio deve esistere perché posso pensarlo come l'essere che ha tutte le perfezioni, compresa l'esistenza. Confonde l'esistenza nel pensiero con l'esistenza iella realtà." 
 "Sì, ma è stupida anche la confutazione di Gaunilone. Io posso pensare a un'isola nel mare anche se quell'isola non c'è. Confonde il pensiero del contingente col pensiero del necessario."
 "Una lotta tra stupidi." 
 "Certo, e Dio si diverte come un pazzo. Si è voluto impensabile solo per dimostrare che Anselmo e Gaunilone erano stupidi. Che scopo sublime per la creazione, che dico, per l'atto stesso in virtù del quale Dio si vuole. Tutto finalizzato alla denunzia della stupidità cosmica." 
 "Siamo circondati da stupidi. Non si scappa. Tutti sono stupidi, tranne lei e me. Anzi, non per offendere, tranne lei." 
 "Mi sa che c'entra la prova di Gddel." 
 "Non lo so, sono cretino. Pilade!" 
 "Ma il giro è mio." 
 "Poi dividiamo. Epimenide cretese dice che tutti i cretesi sono bugiardi. Se lo dice lui che è cretese, e i cretesi li conosce bene, è vero." 
"Questo è stupido." 
 "San Paolo. Lettera a Tito. Ora questa: tutti coloro che pensano che Epimenide sia bugiardo non possono che fidarsi dei cretesi, ma i cretesi non si fidano dei cretesi, pertanto nessun cretese pensa che Epimenide sia bugiardo." 
 "Questo è stupido o no?" 
 "Veda lei. Le ho detto che è difficile individuare lo stupido. Uno stupido può prendere anche il premio Nobel." 
 "Mi lasci pensare.... Alcuni di coloro che non credono che Dio abbia creato il mondo in sette giorni non sono fondamentalisti, ma alcuni fondamentalisti credono che Dio abbia creato il mondo in sette giorni, pertanto nessuno che non creda che Dio abbia creato il mondo in sette giorni è fondamentalista. È stupido o no?" 
 "Dio mio - è il caso di dirlo... Non saprei. Lei che dice?" 
 "Lo è in ogni caso, anche se fosse vero. Viola una delle leggi del sillogismo. Non si possono trarre conclusioni universali da due particolari." 
"E se lo stupido fosse lei?" 
 "Sarei in buona e secolare compagnia.'' 
 "Eh sì, la stupidità ci circonda. E forse per un sistema logico diverso dal nostro, la nostra stupidità è la loro saggezza. Tutta la storia della logica consiste nel definire una nozione accet- tabile di stupidità. Troppo immenso. Ogni grande pensatore è lo stupido di un altro." 
 "Il pensiero come forma coerente di stupidità." 
 "No. La stupidità di un pensiero è l'incoerenza di un altro pensiero." 
"Profondo. Sono le due, tra poco Pilade chiude e non siamo arrivati ai matti."
 "Ci arrivo. Il matto lo riconosci subito. È uno stupido che non conosce i trucchi. Lo stupido la sua tesi cerca di dimostrarla, ha una logica sbilenca ma ce l'ha. II matto invece non si preoccupa di avere una logica, procede per cortocircuiti. Tutto per lui dimostra tutto. Il matto ha una idea fissa, e tutto quel che trova gli va bene per confermarla. Il matto lo riconosci dalla libertà che si prende nei confronti del dovere di prova, dalla disponibilità a trovare illuminazioni. E le parrà strano, ma il matto prima o poi tira fuori i Templari." 
 "Sempre?" 
 "Ci sono anche i matti senza Templari, ma quelli coi Templari sono i più insidiosi. All'inizio non li riconosci, sembra che parlino in modo normale, poi, di colpo..." 
Accennò a chiedere un altro whisky, ci ripensò e domandò il conto. "Ma a proposito dei Templari. L'altro giorno un tizio mi ha lasciato un dattiloscritto sull'argomento. Credo proprio che sia un matto, ma dal volto umano. Il dattiloscritto incomincia in modo pacato. Vuole darci un'occhiata?" "Volentieri. Potrei trovarci qualcosa che mi serve." 
 "Non credo proprio. Ma se ha mezz'ora libera faccia un salto da noi. Via Sincero Renato numero uno. Servirà più a me che a lei. Mi dice subito se le sembra un lavoro attendibile." 
 "Perché si fida di me?" 
 "Chi le ha detto che mi fido? Ma se viene mi fido. Mi fido della curiosità. "
Entrò uno studente, col volto alterato: 
"Compagni, ci sono i fascisti lungo il Naviglio, con le catene!" 
 "Io li sprango," disse quello coi baffi alla tartara che mi aveva minacciato sproposito di Le- nin. "Andiamo compagni!" 
Tutti uscirono. 
"Che si fa? Andiamo?" chiesi, colpevolizzato. 
 "No," disse Belbo. "Sono allarmi che fa mettere in giro Pilade per sgombrare il locale. Per essere la prima sera che smetto di bere, mi sento alterato. Dev'essere la crisi di astinenza. Tutto quello che le ho detto, sino a quest'istante compreso, è falso. Buonanotte, Casaubon."

Il pendolo di Foucault
Umberto Eco


se lo ha letto lui potrei farcela anche io.
ho pensato.
no perchè dopo i primi capitoli io mi sono detta:
no, non ce la faccio.
cretina, imbecille, stupida o matta, io non ce la faccio.
anche incazzata però, lo devo ammettere.
mi sembrava impossibile  e volutamente illeggibile.
involutamente appesantito di parole incomprensibili in un atto di suprema intellettuale superbia.
poi ho pensato invece che si trattasse di una parte iniziale del libro con un preciso intento di deterrenza.
chi sopravvive ai primi capitoli poi merita di arrivare fino in fondo.
superato un certo scoglio iniziale, di fastidio e di rabbia, sono arrivata già al 16° capitolo e potrei anche andare avanti.
mi sono imbattuta ne 14° e ho pure riso di gusto nell'esercizio dotto del sarcasmo (però accompagnata  e sostenuta dalla metavigliosa voce di Tommaso Ragno)
dai magari ce la faccio a leggere il Pendolo di Faucault, stupida che sono.

lunedì 18 novembre 2019

Confini di umanità

qui, in questo luogo detto blog si parla di bellezza.
perchè, mi insegna oggi D'Avenia sul Corriere, la bellezza è un presente eterno e garantito.
come a Venezia l'acqua delle sue calli va e porta via, così anche a Venezia la bellezza svetta e tutto domina. Venezia coniuga il transitorio e l'eterno. oggi e sempre.
le foto di Paolo Pellegrin appartengono alla bellezza?
no, non in senso stretto.
la bellezza sta nell'atto di fotografare e di farlo con talento e maestria, sta nel fare arte il fotografare.
ma quel che vedo nelle foto di Pellegrin alla Triennale (ma ho visto mostre ben più fornite di questa e l'impatto è stato potente) ha a che fare con lo sfacelo, il disordine, la disumanità, la mancanza, la perdita di senso e di dignità. il declino della civiltà, o forse, quel che sempre le è appartenuto prima che l'epoca moderna ce lo presentasse così.
mi piace perchè è crudo, ma mai osceno, perchè non usa stratagemmi.



l'ora inquietante

L'ora inquietante

Tutte le case sono vuote
risucchiate dal cielo aspiratore.
Tutte le piazze deserte.
Tutti i piedistalli vedovi.
Le statue - emigratein lunghe
carovane di pietra
verso porti lontani.
Srane iscrizionisorgono a ogni quadrivio.
Avvertimenti funebri di non andar più oltre.

Giorgio de Chirico


Le Muse inquietanti

Giorgio De Chirico

venerdì 8 novembre 2019

bisogna scoprire il demone in ogni cosa, bisogna scoprire l'occhio in ogni cosa

Giorgio De Chirico








enigma
mistero
ombre
sospensione
metafisica
tempo
miti
infanzia
sogno
inquietudine
rebus
inganni
classicismo ellenico
rivelazione
pietrificazione
manichini
dislocazione
spaesamento

una pittura spiazzante.
non so nemmeno se guardo la capacità pittorica, guardo il soggetto.
e sono senza fiato.
mi ritrovo in tutto. e in niente.

giovedì 7 novembre 2019

nuova tossicomania femminile


questo è il prototipo femmina contro il quale devo lottare quasi quotidianamente quando vado a uno spettacolo 
cinema
teatro
concerti
convegni
si tratta di uno spettro, che mi procura angoscia viva, e che ogni volta che si spengono le luci (ma talvolta ne avverto la presenza già durante i preamboli, a luci accese, in attesa che l'evento cominci) si ripresenta.
donna
sempre
le maniache con dipendenza tossicomanica da cellulare e accensione compulsiva con controllo patologico di presunti messaggi sono le donne.
oppure gay - allo spettacolo Angels in America all'Elfo Puccini c'era un simpatico quartetto di amici amanti tra i quali uno con una folta chioma riccia che si controllava di continuo la piega con la funzione selfie del cellulare e che ha passato TUTTO lo spettacolo (oltre 3 ore) guardando il telefono. qualcuno alla fine gli ha pure chiesto: ti è piaciuto? e lui ha perfino risposto -
di mezza età.
di cultura e di estrazione sociale indistinta.
la suddetta si ritrova ovunque, in qualsiasi contesto.
è una dannazione, un virus pernicioso, una peste inestirpabile.
ne ho trovate
all'Alcatraz per il brutto e scontato concerto di JazzMi degli Afro Cuban All Stars (quale jazz??)

oppure al concerto al Volvo Studio di Roberta Gentile e i Late Set (mammamia, bella voce ma look tutto da rifare)

oppure allo spettacoloso "Tempo di Chet" con il trio guidato da Paolo Fresu ieri all'Auditorium.
la trovo ovunque, non c'è nulla da fare, non posso scampare alla cerebrolesa che si trova lì per sbaglio ma purtroppo vicino a me e non sa far altro che illuminare (nemmeno usa la funzione di riduzione di luminosità) tutto lo spazio adicente con quell'oggetto di perversione dell'attuale millenio.
se è molto vicina non c'è problema, le arriverà la mia furia travestita da gentile richiesta. 
oppure furia e basta.
se è lontana non potrò farci nulla e nemmeno possono le maschere ormai addette allo scopo di arrestare le streghe fattucchiere perchè spesso sono camuffate o confuse nel mezzo della platea.
al concerto al Conservatorio con John McLaughling è stato il signore, proveniente addirittura da Venezia per l'occasione, della fila sopra alla mia che alla fine, che, con forte accento inglese, si è rivolto alla sua vicina di sedia lamentandosi della mancanza di rispetto (con un savoir faire davvero invidiabile) e dell'assoluta inutilità della presenza, della signora ovviamente, dato che l'attenzione delle handicappate non può essere rivolto alla musica ma solo all'intrattenimento virtuale con presunti interlocutori. se non che la presenza, oltre che inutile, si rivela per o più dannosa per l'umanità nei dintorni delle stesse. la poverina ha avuto anche l'ardire di dire: ma in fondo non l'ho usato molto, no? il che mi fa sospettare che la demente sia già stata apostrofata in atre occasioni per le sue pratiche mastubatorie telefoniche in pubblico.
potrei annoverare decine di esperienze, forse anche ormai oltre il centinaio, di incontri ravvicinati del terzo tipo con aliene disturbate da continua interferenza di onde telefoniche,
(invece in spettacoli teatrali con orde di ragazzi liceali non ho MAI visto un cellulare acceso in quei contesti. il luogo comune che li vuole protagonisti del malcostume da device non li vede invece coinvolti in questo genere di malefatte.)
io dico, che buttino pure la loro inutili esistenze, ma non disturbino la mia.

il cavallo del vecchio autunno ha la barba rossa


c'era la nebbia, che guaio
ma era il primo novembre, cosa aspettarsi?
Un giorno vestito a lutto cade dalle campane,
come un trepido tessuto vagamente di vedova,
è un colore, un sonno
di ciliege affondate nella terra,
è uno strascico di fumo che giunge senza tregua
a mutare il colore dell'acqua e dei baci
Oasi Zegna andrebbe visitata con i paesaggi meravigliosi che offre
però io mi sono addentrata nel bosco dei sorrisi, dopo una capatina al Santuario di San Bernardo (nella cecità nebbiosa più assoluta) e ho visto l'inimmaginabile meraviglia e poesia di un bosco nel rosso dell'autunno
ho camminato sospesa nello spazio bagnata da una pioggerellina amica
mi sono ricordata, occhi orecchie e pelle, cosa sia la natura
è stato uno sballo di colori e di silenzio
tutto cade tra le mani che sollevo 
in mezzo alla pioggia.


il cavallo del vecchio autunno ha la barba rossa 
e la bava della paura gli copre le mascelle 
e l'aria che lo segue è simile all'oceano 
e profuma di un vago marciume sotterrato.

Pablo Neruda