Solo da Pilade si poteva vedere il proprietario di un cotonificio, in eschimo e barba, giocare a
otto americano con un futuro latitante, in doppiopetto e cravatta. Eravamo agli albori di un
grande rovesciamento di paradigma. Ancora all'inizio degli anni sessanta la barba era fascista
— ma occorreva disegnarne il profilo, rasandola sulle guance, alla Italo Balbo — nel sessantotto era stata contestataria, e ora stava diventando neutra e universale, scelta di libertà. La barba
è sempre stata maschera (ci si mette una barba finta per non essere riconosciuti), ma in quello
scorcio d'inizio anni settanta ci si poteva camuffare con una barba vera. Si poteva mentire dicendo la verità, anzi, rendendo la verità enigmatica e sfuggente, perché di fronte a una barba
non si poteva più inferire l'ideologia del barbuto. Ma quella sera, la barba risplendeva anche sui
volti glabri di chi, non portandola, lasciava capire che avrebbe potuto coltivarla e vi aveva rinunciato solo per sfida.
Il pendolo di Faucault
Umberto Eco
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