si, il labirinto, di Arnaldo Pomodoro.
quella che era la sua fondazione, in via Solari, ora è uno showroom, credo di Fendi.
questa posizione è straniante, spiacevole, inadatta, sbagliata.
certo il labirinto non era trasportabile, ma Fendi proprio no, no ci sta, i manichini e i vestitini, no, non ci stanno.
non ci stanno perché il labirinto è un capolavoro d'arte moderna, è un luogo straordinario, di bellezza, di cultura e di mistero, ed è eterno, mentre quel biancore asettico e formale delle sale espositive di un marchio di moda, effimero e volatile e inutile per definizione, proprio non ci sta.
se supero questo fastidio corrosivo e mi immergo nella lingua di Pomodoro mi ritrovo in un codice interpretativo della realtà che mi da i brividi.
sono sale, sono geroglifici, sono implosioni, sono scorticature della materia, sono quella roba dentro che viene furi con un graffio e lascia affiorare le interiora, si le interiora, quel materiale magmatico e indecifrabile che compone il nostro corpo e la nostra mente, e la materia tutta.
sotto la pelle liscia c'è la carne viva.
bruciante rossa di tendini muscoli vasi e ossa.
sotto la superficie liscia c'è la materia grezza, rotoli di materia che si aprono al nostro sguardo incredulo.
c'è qualcosa di magnetico e di raccapricciante, nel lavoro di Pomodro.
io lo leggo così.
e no, Fendi no, non ci sta proprio.
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