è che non c'è un paragone possibile.
Emily, Dickinson, scrive intorno alla metà del 1800, vive tra il 1830 e il 1884.
Annette, Von Droste Hulshoff, vive tra la fine del 1700 e il 1848.
stiamo parlando di due epoche di vita sovrapponibili, di contemporaneità, anche se certamente di due mondi di appartenenza molto diversi.
la prima confinata, direi segregata, nella sua casa ad Amherst, nel Massachusetts, in un microcosmo fatto di piccole cose, un dio e un padre sui quali riversare la sua rabbia.
l'altra nata in Germania, da rigida e conservatrice famiglia nobile cattolica negli anni della Restaurazione, di ampia cultura e di più vaste relazioni sociali con il suo mondo.
in entrambe c'è una lotta per un'autonomia espressiva, per un'emancipazione da un giogo religioso.
ma, naturalmente, vince, di grandissima misura, Emily. vince? stravince, trionfa esulta con un solo fulmine imperiale che scotenna la tua anima spogliata.
le poesie di Emily sono un miracolo di intensità, di linguaggio, di modernità.
chiusa in casa, ma imperiale e universale in poesia. senza mai chiedere pietà per se stessa, senza mai lacrime nè anatemi, Emily vive la sua solitudine volontaria, "il caso estremo di una vita scritta e mai vissuta" (Eugenio Montale): questa è la mia lettera al mondo/che non scrisse mai a me.
quelle di Annette sono ancora confinate a quel mondo femminile fatto di natura e di uccellini, di sperticati punti esclamativi, di alberi e ramoscelli, di corone d'iris, di lande e di agnellini.
un abisso.
Dolce quiete nell’erba, e vertigine dolce,
aromi che mi avvolgono,
flutto profondo, fondo, fondo, ebbrezza,
quando la nube sfuma nel turchino,
quando sul capo stanco, ciondolante,
discende una risata, dolce beffa,
e una voce cara, sussurrando,
si sparge come i fiori del tiglio su una tomba.
(…) Ore più fuggitive
del bacio di un raggio sul lago in gramaglie,
del canto d’un uccello trasvolante
che stilla giù dall’alto,
del corruscare dello scarabeo
che varca una striscia di sole,
del tepido contatto d’una mano
che indugia per l’ultima volta.
A me però, questo soltanto, cielo,
a me sempre concedi: per il canto
d’ogni libero uccello nell’azzurro,
un’anima che voli via con lui;
per ogni raggio, anche se povero,
il lembo della mia veste cangiante;
per ogni mano tepida, il tocco della mia;
e per ogni fortuna, il mio sogno.
Annette von Droste-Hulshoff
e va bene, la poesia al femminile, e siamo nell'800, è intrisa di tematiche ricorrenti di rassegnazione e di impotenza: il valore del sacrificio, la famiglia come nucleo imprescindibile, la morale cattolica che incide con il senso di colpa, l’ineluttabilità di un destino nascita-riproduzione-morte, la memoria che segna i passaggi della vita, la dimessa accettazione del presente, la consegna di un indottrinamento evangelico piuttosto che un sapere astratto. Emily Dickinson incarna alla perfezione l’immagine convenzionale di una donna priva di autonomia e comunque subordinata alle regole maschili, ma Emily è consistente, sofferente, scardinatrice della parola, capace della poesia che trasfigura il discorso, che rompe la tradizione -perchè nessuno vede dio e poi vive-, che affonda fino al cuore del mondo, l'altra è enfatica seppure in qualche modo ribelle e ardita per i suoi tempi.
la seconda non la conosco se non da qualche giorno per via delle mie letture sulla rivista Poesia, la prima, e dico Prima, la ascolto e leggo da molto tempo ormai. la frequento. ma leggendo le poesie di Annette mi ha colto la noia, non ci ho trovato niente nonostante le notizie di una sua ribellione, di una sua personale ricerca nonostante fosse definita "ideale monaca". il pensiero mi è volato a Emily, alla loro contemporaneità, e alla diversità abissale del linguaggio e del discorso.
quando il vento prende i boschi tra gli artigli
l'universo-tace.
quando il vento prende i boschi tra gli artigli
l'universo-tace.
perchè c'è un discorso, c'è un tema che sta a cuore ad ognuno di noi e quello di Emily è l'abisso della morte e tutta quella vita che ci sta intorno: è premio della vita – morire – più appagante se in un colpo solo –che morire a metà – poi riaversi a una più cosciente eclissi.
C’è un certo taglio di luce,
i pomeriggi invernali –
che opprime, come la gravità
di armonie da cattedrale –
ferita celestiale, ci procura –
non troviamo cicatrice,
ma una differenza interna,
dove stanno i significati –
nessuno può insegnarlo – ad altri –
è il marchio Disperazione –
un’afflizione imperiale
mandataci dall’aria –
quando viene, il paesaggio ascolta –
ombre – trattengono il respiro –
quando va, è come la distanza
sui lineamenti della morte –
La Solitudine non si osi
sondarla -
è meglio fare ipotesi
che andare scandagliando la sua fossa
per chiarirne la misura -
è meglio fare ipotesi
che andare scandagliando la sua fossa
per chiarirne la misura -
la solitudine, il cui incubo peggiore
è che le accada di vedersi -
è perire al cospetto di se stessa
dopo uno sguardo appena -
è che le accada di vedersi -
è perire al cospetto di se stessa
dopo uno sguardo appena -
l'orrore che non va
osservato -
ma aggirato nel buio -
con la coscienza sospesa -
e l’essere sotto chiave -
ma aggirato nel buio -
con la coscienza sospesa -
e l’essere sotto chiave -
Questo temo - sia la solitudine
-
l’artefice dell'anima
le sue caverne, i corridoi
i sigilli –o illumini.
l’artefice dell'anima
le sue caverne, i corridoi
i sigilli –o illumini.
...
Per quanto più a lungo di lui io possa vivere
egli deve vivere più a lungo di me
perchè io ho solo il potere di uccidere
ma senza la capacità di morire.
Emily Dickinson
2 commenti:
visionaria,potentissima,lancinante.appartiene ad una razza aliena?
che bello che piaccia anche a te! era un poeta!! questa la sua razza.
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