Marianna è sordo muta, ma non dalla nascita. un mistero avvolge la sua menomazione.
Marianna è una creatura letteraria, nata per mano di Dacia Maraini.
è una figura femminile amabile, intensa, curiosa, intelligente, materna, sensuale.
colta, e libera di pensiero.
vive nella Sicilia del 700, famiglia Ucria, aristocratica agiata immersa nelle convenzioni del tempo avvolta da una terra odorosa e saporosa, un'ambientazione da sogno, forse l'aspetto più straordinario di questo bellissimo romanzo.
siamo, con lei, nella dimensione della sana concretezza dei sensi, se pure alcuni menomati, al contrario gli altri esaltati. Marianna Ucria ama, sa amare e sa anche quando è il tempo di sottrarsi all'amore. sa quando esserci e quando no. sa mettere le giuste distanze, sa quando è il tempo giusto delle cose.
Marianna è solida, figlia di un padre amatissimo e di una madre mollemente aristocratica e spenta, destinata a 13 anni a un matrimonio con uno zio di almeno 30 anni più anziano di lei, è intrisa, simbolicamente, dei suoi genitori, è nata con il loro destino già inscritto nel suo stesso futuro.
Chissà che aveva in quella testa sempre languidamente reclinata su una spalla la dolcissima signora madre! […] Con quella tendenza a impigrirsi dentro un letto sfatto, dentro una poltrona, perfino dentro un vestito in cui si assestava appoggiandosi con le carni molli alle stecche di balena, ai ganci, financo alle asole. Una pigrizia più fonda di un pozzo nel tufo, un torpore che la conteneva come un baccello di carruba contiene il seme duro, morbido color della notte.
...
quel Signor Padre che ha un modo tutto suo di montare sul baio acchiappandosi alla criniera corvina parlando al cavallo con fare persuasivo. […] Quando il vapore umido del mare prende a salire alle narici fresco e salato, il baio solleva le zampe anteriori e in pochi attimi, con una spinta poderosa dei fianchi, si solleva da terra. L’aria si fa più leggera, pulita; dei gabbiani vengono loro incontro stupefatti. Il signor padre incita il cavallo […], certamente questa volta la sta conducendo con sé in paradiso…
ci sono passi bellissimi nel libro che la ospita che ne descrivono la sensazione di non appartenenza al suo corpo. andata sposa da bambina, senza alcuna consapevolezza del suo sè e del suo desiderio, è stata oggetto degli assalti sessuali rapaci e voraci del marito, di quegli uomini che non conoscevano altro modo di avvicinarsi alle mogli bambine se non con l'assedio alla carne, il volo assassino, il pasto veloce e carnivoro, l'abbandono immediato della vittima, morta, al suolo. un rapace. otto volte è stata assediata e otto volte è rimasta incinta.
Fuori è buio. Il silenzio avvolge Marianna sterile e assoluto. Fra le sue mani un libro d'amore. Le parole, dice lo scrittore, vengono raccolte dagli occhi come grappoli di una vigna sospesa, vengono spremuti dal pensiero che gira come una ruota di mulino e poi, in forma liquida si spargono e scorrono felici per le vene. E questa la divina vendemmia della letteratura?
Trepidare con i personaggi che corrono fra le pagine, bere il succo del pensiero altrui, provare l'ebbrezza rimandata di un piacere che appartiene ad altri. Esaltare i propri sensi attraverso lo spettacolo sempre ripetuto dell'amore in rappresentazione, non è amore anche questo? Che importanza ha che questo amore non sia mai stato vissuto faccia a faccia direttamente? assistere agli abbracci di corpi estranei, ma quanto vicini e noti per via di lettura, non è come viverlo quell'abbraccio, con un privilegio in più, di rimanere padroni di sé?
Un sospetto le attraversa la mente: che il suo sia solo uno spiare i respiri degli altri. Così come cerca di interpretare sulle labbra di chi le sta accanto il ritmo delle frasi, rincorre su queste pagine il farsi e il disfarsi degli amori altrui. Non è una caricatura un po' penosa?
Quante ore ha trascorso in quella biblioteca, imparando a cavare l'oro dalle pietre, setacciando e pulendo per giorni e giorni, gli occhi a mollo nelle acque torbide della letteratura.Che ne ha ricavato? qualche granello di ruvido bitorzoluto sapere. Da un libro all'altro, da una pagina all'altra. Centinaia di storie d'amore, di allegria, di disperazione, di morte,di godimenti, di assassinii, di incontri, di addii. E lei sempre lì seduta su quella poltrona dal centrino ricamato e consunto dietro la testa.
La parte bassa degli scaffali, quelli raggiungibili da mani infantili contengono soprattutto vite di santi: La sequenza di santa Eulalia, La vita di san Leodegario, qualche libro in francese Le jeu de saint Nicolas, il Cymbalum mundi, qualche libro in spagnolo come il Rimado de palacio o il Lazarillo de Tormes. Una montagna di almanacchi: della Luna nuova, degli Amori sotto Marte, del Raccolto, dei Venti; nonché storie di paladini di Francia e alcuni romanzi per signorine che parlano d'amore con ipocrita licenza.
Più sopra, negli scaffali ad altezza d'uomo si possono trovare i classici: dalla Vita nuova all'Orlando furioso, dal De rerum natura ai Dialoghi di Platone nonché qualche romanzo alla moda come il Colloandro fedele e La leggenda delle vergini. Questi erano i libri della biblioteca di villa Ucrìa quando l'ha ereditata Marianna. Ma da quando la frequenta assiduamente i libri sono raddoppiati. Da principio la scusa era lo studio dell'inglese e del francese. E quindi vocabolari, grammatiche, compendii. Poi, qualche libro di viaggi con disegni di mondi lontani e infine, con sempre più ardimento,romanzi moderni, libri di storia, di filosofia.
Da quando i figli sono andati via ha molto più tempo a disposizione. E i libri non le bastano mai. Li ordina a dozzine ma spesso ci mettono dei mesi per arrivare. Come il pacchetto che conteneva il Paradise Lost che è rimasto cinque mesi al porto di Palermo senza che nessuno sapesse dove fosse andato a finire. Oppure la Histoire comique de Francion che è andato perso nel tragitto fra Napoli e la Sicilia in un battello che è affondato al largo di Capri.
Altri li ha prestati e non ricorda più a chi; come i Lais di Maria di Francia che non sono più tornati indietro. O il Romance de Brut che deve essere nelle mani di suo fratello Carloal convento di San Martino delle Scale.
Queste letture che si protraggono fino a notte fonda sono prostranti ma anche dense di piaceri. Marianna non riesce mai a decidersi ad andare a letto. E se non fosse per la sete che quasi sempre la strappa alla lettura continuerebbe fino a giorno.
Uscire da un libro è come uscire dal meglio di sé. Passare dagli archi soffici e ariosi della mente alle goffaggini di un corpo accattone sempre in cerca di qualcosa è comunque una resa. Lasciare persone note e care per ritrovare una se stessa che non ama, chiusa in una contabilità ridicola di giornate che si sommano a giornate come fossero indistinguibili. La sete ha messo il suo zampino in quella quiete sensuale togliendo profumo ai fiori, ispessendo le ombre. Il silenzio di questa notte è soffocante. Tornata alla biblioteca, alle candele consumate, Marianna si chiede perché queste notti le stanno diventando strette. E perché ogni cosa tenda a precipitare verso l'interno della sua testa come dentro un pozzo dalle acque scure in cui ogni tanto echeggia un tonfo, una caduta,ma di che?
I piedi scivolano delicati e silenziosi sui tappeti che coprono il corridoio; raggiungono la sala da pranzo, attraversano il salone giallo, quello rosa; si fermano sulla soglia della cucina. La tenda nera che nasconde il grande orcio dove si conserva l'acqua da bere è scostata. Qualcuno è sceso a bere prima di lei. Per un momento è presa dal panico di un incontro notturno col signor marito zio. Da quella notte del rifiuto non l'ha più cercata. Le sembra di avere intuito che amoreggi con la moglie di Cuffa. Non la vecchia Severina che è morta ormai da un po', ma la nuova moglie, una certa Rosalia dalla folta treccia nera che le ciondola sulla schiena.
Ha una trentina d'anni, è di temperamento energico, ma col padrone sa essere dolce e lui ha bisogno di qualcuno che accolga i suoi assalti senza raggelarsi.
Marianna ripensa ai loro frettolosi accoppiamenti al buio, lui armato e implacabile e lei lontana, impietrita. Dovevano essere buffi a vedersi, stupidi come possono esserlo coloro che ripetono senza un barlume di discernimento un dovere che non capiscono e per cui non sono tagliati. Eppure hanno fatto cinque figli vivi e tre morti prima di nascere che fanno otto; otto volte si sono incontrati sotto le lenzuola senza baciarsi né carezzarsi. Un assalto, una forzatura, un premere di ginocchia fredde contro le gambe, una esplosione rapida e rabbiosa.
Qualche volta chiudendo gli occhi al suo dovere si è di era distratta pensando agli accoppiamenti di Zeus e di Io, di Zeus e di Leda come sono descritti da Pausania o da Plutarco. Il corpo divino sceglie un simulacro terreno: una volpe, un cigno un’aquila, un toro. E poi, dopo lunghi appostamenti fra i sugheri e le querce, l'improvvisa apparizione. Non c'è il tempo di dire una parola. L'animale curva i suoi artigli, in chioda col becco la nuca della donna, e la ruba a se stessa e al suo piacere. Un battere di ali, un fiato ansante sul collo, il taglio dei denti su una spalla ed è finito. L'amante se ne va lasciandoti dolorante e umiliata.
Ci sono passi bellissimi che descrivono l'appartenenza del corpo femminile, a quei tempi, alla sola procreazione, un corpo prestato alla discendenza, un corpo abitato dagli altri, violato o parassitato, un corpo vestito e poi svestito, un corpo mai appartenuto, mai vissuto come proprio.
Marianna passa attraverso l'espropriazione e l'alienazione e poi, come sarebbe nel destino di tutti o solo dei più fortunati, si appropria della sua soggettività, dopo essersi scarnificata e liberata di ciò che non le appartiene ma le è stato solo attribuito simbolicamente per nascita e genetica, e finalmente vive, pur nelle sue evidenti mancanze, vive la vita del suo saper stare al mondo. vivere non è saper stare nella nostra mancanza, soffrendo per questo il meno possibile?
la bellezza infinita del libro sta, oltre che nel solare personaggio di Marianna, nella terra, negli odori, nei sapori, nella frutta, nella ricotta fresca, nel sambuco e nel bergamotto, nelle melanzane, nelle uvette candite e
nelle cassate, in un sapore così forte così intenso così carico da sentirlo in bocca.
Lo sfondo è proprio quello di una terra orgogliosamente ancorata alla sua inettitudine e alla sua profonda corruzione, profumata, arsa, sfavillante di limoni, di odori, di pietanze succulente, di estati torride, di brevi inverni ventosi che giungono all’improvviso, di cavalli, di monacazioni, di proverbi, di impiccagioni, di arroganza nobiliare, di immobilismo e di sfavillio, di località dai nomi accattivanti, musicali, di boschi di sugheri, di distese di terreni coperti da una lanugine gialla piumata appena scossa dal vento» e di miseria, di squallida miseria senza requie. Ovunque giri lo sguardo è la stessa cosa: case basse addossate le une alle altre, spesso munite della sola entrata che fa da finestra e da porta. Dentro si intravedono stanze scure abitate da persone e animali in tranquilla promiscuità. E fuori, rivoli di acqua sudicia, qualche bottega di granaglie esposta in grandi cesti, un fabbro ferraio che lavora sulla soglia sprizzando scintille, un sarto che alla luce della porta taglia, cuce e stira…
leggendo, o meglio ascoltando Piera Degli Esposti leggere, ho sognato, ho veramente desiderato essere lì per godere dei sensi, della bocca del naso del palato del gusto della luce, un'alluvione pulsionale, travolgente.
Nessun commento:
Posta un commento