venerdì 23 ottobre 2009
giovedì 22 ottobre 2009
tutto finisce
non ci credevo, ma tutto finisce, anche io finisco.
finisce forse l'analisi, deludente e senza futuro,
finisce la progressione, come l'amore e l'amicizia,
finisce il tempo.
finisce questo blog? chi lo legge.. finito anche questo.
finisce la mia aspettativa di costruzione di un riflesso fugace ma migliore anche se ogni parola crea una voragine di aspettative, forse allora è ora di finirla.
non riesco a raccogliere tutto intorno a me, ha ragione sempre e solo chi se ne va, mai chi rimane. allaga il silenzio, che ha ragione di tutto sopra ogni cosa, la parola di chi resta si svuota e si disanima.
tutto finisce.
Ma noi siamo come l'erba dei prati
che sente sopra sè passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
nè balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.
finisce forse l'analisi, deludente e senza futuro,
finisce la progressione, come l'amore e l'amicizia,
finisce il tempo.
finisce questo blog? chi lo legge.. finito anche questo.
finisce la mia aspettativa di costruzione di un riflesso fugace ma migliore anche se ogni parola crea una voragine di aspettative, forse allora è ora di finirla.
non riesco a raccogliere tutto intorno a me, ha ragione sempre e solo chi se ne va, mai chi rimane. allaga il silenzio, che ha ragione di tutto sopra ogni cosa, la parola di chi resta si svuota e si disanima.
tutto finisce.
Ma noi siamo come l'erba dei prati
che sente sopra sè passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
nè balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.
mercoledì 21 ottobre 2009
ballando la vita
"Di quattordici mani che si liberano di sessantasei chili di carne infelice e del bianco abbagliante di duecentosei ossa.
Di quattordici immagini che cercano diecimila sogni perduti e una ragione sensata per vivere e di quaranta pezzi di legno, quattrocentoquindici parole confuse in settantadue minuti e di due litri d'acqua tra due bicchieri e un piatto, con quattro cucchiai e otto sgabelli, due martelli e trentatré chiodi piantati nel muro".
100 Wounded Tears: Milanoltre ospita i DOT504 dalla Repubblica Ceca.
già questo potrebbe bastare.
comunque si entra e si esce interrogativi,
prima: cosa vado a vedere,
dopo: cosa avrò mai visto.
vedere c'era da vedere.
bella danza molto espressiva che si evolve su musica altrettanto penetrante, molto movimento, follia, violenza, sopraffazione, pianto, ossessione, ripetizione, angoscia e urla.
aggressività e disagio.
nudità e corporeità.
ce n'è, ce n'è da vedere.
ma anche tenerezza, vicinanza, sguardi, abbracci e intrecci.
uomo e donna, insieme.
bella la vicinanza, penso guardando.
La potenza immaginifica di 100 Wounded Tears è un proiettile emotivo più che intellettuale. L’occhio che osserva si trova a dover gestire un materiale artistico incandescente, a tratti disturbante, davanti al quale è impossibile restare indifferenti.
i corpi sono corpi, pieni e tonici, i colori sono vividi, i movimenti decisi e coraggiosi, a tratti lenti a tratti fulminei.
la ricerca dei DOT504 analizza e amplifica le umane ricchezze e miserie, le guarda da vicino e le mostra senza veli, senza imbarazzo.
Il gruppo, fondato nel 2006 a Praga da Lenka Ottovà e prima compagnia professionale di danza contemporanea della Repubblica Ceca, persegue una sperimentazione feroce, che si spinge ben al di là dei tracciati del balletto moderno, sconfinando con estrema agilità in territori inesplorati. I DOT504 si inseriscono nel solco dei grandi nomi della danza e del teatro d’avanguardia.
«Non recitare. Agisci. Non imitare la vita. Vivi». Living Theatre.
In effetti i ballerini più che ballare vivono, vivono le loro vite e le loro storie e risultano tanto credibili da emozionare in crescendo, come ad assistere a una faccenda privata ma esemplare, qualcosa che conosciamo e frequentiamo molto bene ma dovrebbe rimanere dentro le mura di casa.
http://www.youtube.com/watch?v=nUidHjFhIFI
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martedì 20 ottobre 2009
Lampi di brace nella sera:/e stridono/due sigarette spente in una pozza
periferia ed emarginazione.
anche dalla vita, così sempre Antonia Pozzi.
qualcosa si spegne in quella pozza, qualcosa stride, si incenerisce, qualcosa fa male.
forse una silenziosa attesa di una rivelazione che rompa una distanza, una rivelazione che sottragga al dubbio e alla solitudine. Le sigarette si spengono, annegano, prima con calore di brace poi nel buio dell'acqua sporca, c'è qualcosa di impossibile che non solo non si compie, ma che miseramente collassa.
due sono le sigarette, due gli attori di questa storia, due volte un calore non si accende e con dolore si annulla nel buio della notte.
Foto di Antonia Pozzi, da Portofino a Ruta, aprile 1938
"Caro Dino, l'altro giorno hai detto che nelle fotografie si vede la mia anima: e allora eccotele".
Bellezza
Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle - bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.
Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.
Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi -
E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido - della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo -
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette -
anche dalla vita, così sempre Antonia Pozzi.
qualcosa si spegne in quella pozza, qualcosa stride, si incenerisce, qualcosa fa male.
forse una silenziosa attesa di una rivelazione che rompa una distanza, una rivelazione che sottragga al dubbio e alla solitudine. Le sigarette si spengono, annegano, prima con calore di brace poi nel buio dell'acqua sporca, c'è qualcosa di impossibile che non solo non si compie, ma che miseramente collassa.
due sono le sigarette, due gli attori di questa storia, due volte un calore non si accende e con dolore si annulla nel buio della notte.
Foto di Antonia Pozzi, da Portofino a Ruta, aprile 1938
"Caro Dino, l'altro giorno hai detto che nelle fotografie si vede la mia anima: e allora eccotele".
Bellezza
Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle - bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.
Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.
Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi -
E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido - della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo -
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette -
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lunedì 19 ottobre 2009
ode a un vigile
i vigili non sono simpatici. a nessuno.
tanto meno a me.
soprattutto quando mi ritirano la patente per una stupida dimenticanza: il rinnovo della patente. e chi ci pensa a 'ste cose? io la mia patente non la guardo mai ed è probabilmente proprio perchè sono una brava e buona cittadina al volante che la mia patente non la controllo nè, tanto meno, la faccio vedere a qualcuno!!
vabbè.
i vigili non sono simpatici.
tranne uno.
ce n'è uno, solo uno, che trovo di una simpatia irresistibile.
al punto che spero di vederlo ogni mattina andando al lavoro.
in macchina.
è dislocato a un incrocio, vicino a una scuola elementare e media, luogo notoriamente impossibile per traffico, soste selvagge, casino irrimediabile e irritabilità troppo spesso ai limiti del codice civile.
lui è un out standing.
è simpatico.
è comunicativo.
è spassoso.
è sorridente, imbronciato, stupito, esterreffatto, contento.
a volte sbuffa, a volte è compiaciuto,
parla con i passanti, con gli automobististi, con le auto, con i ciclisti,
si esprime con la voce con il rinforzo gestuale delle braccia,
in modo assolutamente convincente e, allo stesso tempo, privo di arroganza di potere.
invita gentilmente, esorta alacremente, con espressioni più buffe che direttive.
sta in mezzo alla strada come nessuno mai e fa del suo mestiere un'opera d'arte.
c'è qualcuno che è nato per fare questo lavoro!
è un mito.
merita un post.
domenica 18 ottobre 2009
visioni. e prigioni.
Ho visto uno spettacolo: Double Vision.
nasce dall’incontro artistico tra la Carlson, che ha segnato l’evoluzione della danza contemporanea degli ultimi trent’anni, e il giovane gruppo Electronic Shadow.
Non so cho di voi ha avuto la fortuna di vederla, molto tempo fa, in Undici onde o Underwood. un vedere attraverso la forza del ricordo in un gesto artistico assolutamente originale. un movimento, quello della Carlson, quasi autistico a mio parere, una gestualità ripetitiva quasi ossessiva che fa ampio uso delle braccia e un suo comunicare un'interiorità attraverso un costante slancio verso lo spazio circostante e il successivo riassumerlo dentro di sè. un gesto che, non a caso, non ha trovato proseliti o gruppi o singoli all'altezza della sua impronta orginaria. quel gesto è della Carlson e con lei morirà. irripetibile. un gesto che non apre al mondo, caso mai un gesto che racconta di un mondo interiore. quando l'ho vista, ormai venti anni fa, o forse di più, mi aveva colpita in modo accecante.
rivederla oggi mi ha fatto un'impressione diversa. in questo spettacolo, double vision, Carolyn Carlson attraversa il “mondo che si vede”, la creazione della natura, il “mondo che si produce”, quello dell’uomo, della civilizzazione, delle metropoli, e il “mondo che si immagina”.
Grazie all’uso della tecnologia digitale il palcoscenico diventa un flusso di immagini che si fonde con i movimenti della coreografa. il doppio sta nel movimento danza e nella scenografia e il loro riflesso in uno specchio. a tratti, soprattutto nella prima parte, l'effetto è notevole. sembra di essere nel regno dei ghiacci, nel profondo di un vulcano, nell'abisso dell'oceano. sembra di essere dentro qualcosa. qualcosa di vivo.
poi l'effetto si stempera in immagini già viste, già fatte, già raccontate.
l'uomo e la sua fissità nella meccanizzazione.
il finale, quello del ritorno alla percezione personale e all'"immaginazione dell'anima" dopo la perdizione nella reiterazione destrutturante del reale cittadino, non si sostiene da solo, non ha autonomia espressiva e si avvale di parole scritte in uno sfondo senza sostanza.
la Carlson si muove imprigionata nel suo gesto, creando suggestione solo nel suo iniziale fondersi con il flusso della natura, ma perdendo ogni potere di convinzione nel successivo svolgersi della narrazione.
soprattutto lei è sola. questo si percepisce, o, almeno, io percepisco.
è rimasta sola. non c'è più nessuno con lei.
e l'avvalersi della tecnologia, delle immagini su schermo, degli strumenti postmoderni di video e foto fisse ripetitive e ossessionanti, di tableau vivant, tutto questo mi dice che siamo slittati dal piano dell'arte a quello della sua rappresentazione, della sua commemorazione. la danza e la sua unicità si sono esaurite, sono già "morte" con lei, ora che tenta di perpetuarsi attraverso altro, ma altro da sè, altro dalla sua arte.
è un tentavivo di comunicare che ha abdicato. ha reso le armi alla tecnologia e ha perso l'immenso potere della sua originaria primordiale forza istintiva.
è difficile per tutti dirsi che è finita.
martedì 13 ottobre 2009
Scarpe: Lella Costa è mia sorella
Scrive mia sorella sul suo libro autobiografico- La sindrome di Gertrude-
«.. a me le scarpe piacciono da pazzi! Trovo che la scarpa in sé sia un oggetto meraviglioso. Sgomberiamo subito il campo da possibili equivoci: la scarpa vera deve avere il tacco. Il tacco è imprescindibile, essenziale, fondamentale, di più: è la scarpa. È una questione filosofica, direi ontologica: la scarpa-in-sé, il noumeno della scarpa, ha il tacco. Alto: sotto i sette centimetri non viene neanche preso in considerazione. Infatti la cosiddetta ballerina non è da ritenersi scarpa vera, scarpa fino in fondo. Forse solo Audrey Hepburn è riuscita a essere incantevole con quelle cosette insulse ai piedi, e in ogni caso anche lei stava meglio con un po’ di tacco. (...)
Comunque, vorrei chiarire che non sono totalmente schiava della mia passione: in casa giro con le Dottor Scholl’s, e possiedo anche una serie di scarpe assolutamente comode e ragionevoli. Insomma, non proprio una serie: qualcuna, ecco. Lo stretto indispensabile.(...) Che poi, col fatto che ho fama di attrice impegnata, seria, anche un po’ social, forse dovrei ostentare un’amabile indifferenza per moda e affini, una sorta di ascetismo anticonsumistico. E invece no: mi piace da pazzi! (...) In fatto di scarpe, io sono un’autarchica. La citazione morettiana è doverosa, anche perché l’amatissimo Nanni, ancorché molto più sobrio di me e sicuramente alieno da tentazioni consumistiche, non ha mai nascosto un’attenzione quasi maniacale per le calzature (come ampiamente esplicitato in Bianca, per esempio). Non mi piacciono particolarmente le scarpe straniere, preferisco di gran lunga le italiane. Sì, ho un paio di Jimmy Choo, e ovviamente delle Manolo Blahnik, ma francamente le trovo sopravvalutate, con buona pace di Carrie Bradshaw. Possiedo anche delle Louboutin, che al momento è considerato il più grande, ma in tutta franchezza trovo che creatori come Sergio Rossi, Caovilla o Ferragamo non abbiano nulla da invidiargli, anzi. E che dire di Prada? O di Casadei? Insomma, diciamocelo, la classe e lo stile delle scarpe italiane sono inarrivabili. Non è campanilismo, è storia. (...) Quanto ai miti che ci vengono imposti fin da piccole, vorrei proporre una rilettura critica di Cenerentola: siamo poi così sicuri che una che si è persa una scarpetta di cristallo, modello esclusivo preziosissimo fatto su misura, si meritasse alla fine di sposare un principe? Non è negativa una tale dimostrazione di superficialità, sciatteria e incuria? Vi invito a una riflessione serena, priva di pregiudizi e di retaggi del passato».
cosa dire.
per le scarpe ci vado PAZZA anch'io.
per una Jimmy Choo darei un piede (!!?!!)
no dai, ci siete cascati, non è vero...
MA
se c'è una cosa che trovo intrigante al massimo e alla quale non posso rinunciare neanche nei giorni più bui,
pure piovosi e oltretutto nebbiosi,
nemmeno con i calli ai piedi,
che mi da il senso della mia seduzione,
che mi fa sentire femmina ed elegante,
che, figurati, a volte proprio mi fa dire che sono una gran figa
quella cosa sono le scarpe con i tacchi.
ma tacchi. non mezzi tacchi.
tacchi veri svettanti, pungenti, invitanti, seducenti.
e se sono sandali poi mi sento regina. regina di me stessa.
le donne a volte...
lunedì 12 ottobre 2009
anche Borges mi da ragione
"Se io potessi vivere nuovamente la mia vita, nella prossima cercherei di commettere più errori. Non tenterei di essere tanto perfetto, mi rilasserei di più, sarei più stolto di quello che sono stato, in verità prenderei poche cose sul serio Correrei più rischi, viaggerei di più, scalerei più montagne, contemplerei più tramonti attraverserei più fiumi, andrei in posti dove mai sono stato, avrei più problemi reali e meno problemi immaginari.
Io sono stato una di quelle persone che vivono sensatamente, producendo ogni minuto della vita. E' chiaro che ho avuto momenti di allegria. Ma, se potessi tornare a vivere, cercherei di avere solamente dei momenti buoni. Perché di questo è fatta la vita, solo da momenti da non perdere. Io ero una di quelle persone che mai andava da qualche parte senza un termometro, una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute: se tornassi a vivere, viaggerei più leggero.
Se io potessi tornare a vivere, comincerei ad andare scalzo all'inizio della primavera e continuerei così fino alla fine dell'autunno. Girerei più volte nella mia strada, contemplerei più aurore e giocherei di più con i bambini.
Se avessi un'altra volta la vita davanti ... ma, vedete, ho ottantacinque anni e non ho un'altra possibilità".
Jorge Luis Borges
è vero che sono in fase adolescenziale -senza ritorno?- ma in verità questa vena l'ho sempre avuta e mi rende inquieta come un cavallo pazzo, mi fa andare stretta ogni costrizione e compressione del mio tempo -cioè tutta la mia giornata di fatto- mi rende sognante e perennemente alla ricerca di altro, di più, di oltre, di nuovo.
il fatto è che sono quasi sempre sola, e lasciata sola, in questo delirio, in linea di massima mi sento solo dire che vaneggio da chi "mai andava da qualche parte senza un termometro, una borsa d'acqua calda, un ombrello e un paracadute".
da chi ha paura di tutto, anche delle sole parole.
"Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità".
Pablo Neruda
lunedì 5 ottobre 2009
ATOMIC-A!!
si si si va così ragazzi.
ormai sono proiettata nello spazio profondo morfeico epicureo delle notti milanesi.
conoscete l'Atomic?
no? beh checcentra, nemmeno io...
un buco grande, anche questo, come la mia cucina,
solita signorina "di punta" vestita di un verde improbabile con dei tacchi di livello superiore (multistrato a tre piani?!?) di una mascolina femminilità di qualità ormonale di prima scelta,
abituale ressa umana danzante come un unico corpo ondulante pressante palpitante,
musica pop regular attuale/passata/bollita ballabile sempre,
solite botte per la sopravvivenza in quei 10 cm quadrati che mi spettano non di diritto ma di volume mio proprio insopprimibile,
inevitabile sordità finale da protesi fissa non per il volume della musica quanto della gente che, per farsi capire, mi urla nelle orecchie con un tono che, in condizioni normali, mi manderebbe alla neurodeliri per confusione mentale con perforazione timpanica,
doloroso schiacciamento della cassa toracica solo e dico solo per aver osato avvicinarmi al bancone per un cuba libre...neanche un vodka tonic...
ma
cosa vi devo dire
mi diverto.
mi confondo, mi dimentico di me, mi perdo, mi annullo. e gli altri come me.
questo è il trucco.
tutti uguali, tutti parcellizzati in atomi, fluttuanti in un'unica materia unmana senza pensiero.
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