Metamorfosi. l'ho vista in un balletto, magari presuntuso negli intenti ma prezioso nell'ispirazione.
Lo spettacolo, che si immerge nell’immaginario di Ovidio per analizzare come le metamorfosi possono rimandare ai nostri modelli contemporanei, all'ossessione del cambiamento continuo, diventa l’occasione per una riflessione sulle forme della natura umana, sulle manifestazioni del desiderio, sullo scontro tra il bene e il male, sull’ordine che genera il disordine, sulla reazione del corpo umano quando lo si rinchiude in categorie, quando gli si propongono delle sfide o si cerca di addomesticarlo.
Le pietre si trasformano in corpi animali fino ad arrivare all’uomo che, diverso dagli altri animali la cui testa è volta verso terra, si erge in posizione eretta e può contemplare le stelle e il cielo, spinto dal desiderio di conoscere. Fetonte guida presuntuoso il carro luminoso che lo porta alle porte del sole ma i cavalli non rispondono al suo comando umano e sbandano paurosamente rischiando di bruciare la volta terrestre e di devastare la superficie terreste...Zeus lo fulmina, prima della catastrofe. La tecnologia che dovrebbe regolare le vita del pianeta, sfida il divino, sfugge di mano all’apprendista e produce caos, trasformazioni non programmate: ad ogni tecnologia è associata una catastrofe? Il mito di Narciso ci rivela i pericoli che nascono dalla contemplazione della propria bellezza, o meglio del riflesso di essa. La società contemporanea fa da contenitore della dimensione narcisistica che contempla solo se stessa e annulla l’esistenza dell’altro, dell’altro da sè.
Oggi il corpo ipermoderno sogna di rimodellarsi grazie alla scienza, aperta alla possibilità di ogni tipo di variazione-trasformazione-metamorfosi. Ma come in Ovidio, l’uomo non dovrebbe interrogarsi sui limiti della propria identità? I limiti e il suo valore? fino a che punto l’uomo rimane se stesso quando rivendica delle identità multiple e cangianti?
Ecco. penso al corpo di chi si plastifica. di chi si trasforma e si trasfigura con una plastica che renderà il suo viso e la sua espressione uguale a quelle di milioni di altre forme plastificate. penso a chi si trasforma clonizzandosi. a chi si trasforma da soggetto a oggetto, si oggettivizza proponendosi sul mercato delle lattine di coca cola perdendo per sempre la propria identità.
che metamorfosi è questa? è onnipotenza? è dominio del tempo? è richiesta di immortalità?
metamorfosi.
oggi desiderare di crescere e di cambiare non ha più il senso di una trasformazione mentale che si adatta al sentire e al pensare necessario alla condivisione. oggi crescere significa uniformarsi alla crescita mondiale della plastificazione materiale fisica e mentale. cervelli prefabbricati di plastica che ammortizzano le espressioni dell'anima e dello sguardo.
metamorfosi.
Il desiderio di immortalità produce oggetti mostruosi, non solo nell’estetica uniformante senz’anima, anche nella trasformazione in corpi ancora efficienti, ma profondamnente vecchi, anche contro le più elementari leggi della natura. invecchiare significa solo rimandare il momento della morte, rimandarlo possibilmente all’infinito, trascorrendo la vita rimasta a combattere l’ineluttabilià della morte, trascorrendo le ore rimaste a produrre altre ore rimaste, giorni passati a costruire altri giorni privi di salute ma possibilmente non sovraccarichi di malattia, mettendo “oltre” le lancette dell’orologio biologico che, comunque avanza, rattoppando la fisiologia del corpo ma perdendo ineluttabilmente la materia della mente. di Levi Montalcini ce n’è una, tutti gli altri sono un corpo che si rammenda senza una mente che li sorregga.
il corpo non è qualcosa che abbiamo, un oggetto. non è che io ho un corpo, io sono il mio corpo. sono io che, attraverso il significato che sono in grado di conferire al mio corpo, lo riduco alla dimensione dell’oggetto, del corpo anatomico, del corpo oggetto, oppure lo trasfiguro in soggetto, in persona. il mio corpo è a dimensione del mio spirito. anche se il corpo, per sua natura, impedisce e limita, porta a compimento, rendendola possibile, la relazione con gli altri, la comunicazione, la presenza. il corpo è il luogo, il punto d’incontro indispensabile dei rapporti con gli altri. rifiutare il corpo significa quindi rifiutare la socialità, la solidarietà con il mondo, la responsabilità di noi stessi. può risultare una conquista difficile, ma indispensabile, quella di superare la contraddizione tra il nostro corpo anatomico, corpo oggetto, le cui particolarità o imperfezioni possono anche riuscirci sgradite, e il corpo come struttura carica si significato, nella quale quelle stesse particolarità o imperfezioni, vengono da noi presi “in carica”, responsabilmente, come nostre proprie, segni sacrosanti della nostra personalità. (Salvini Palazzoli)
penso al futuro. il futuro del mio lavoro, dei modi per farlo e dunque di noi stessi.
poiché a volte si fatica a comprendere il presente, l’immaginare il futuro può essere d’aiuto per capire quello che abbiamo a disposizione oggi, che ieri non avevamo.
siamo attratti da quello che possiamo scoprire e che forse ci darà una soluzione migliore di quella di cui disponiamo oggi. ma disponiamo già oggi, sul piano perlomeno medico, di più risorse di quelle che possiamo permetterci.
si é detto che la medicina, che noi, siamo al traino della corsa della società.
dobbiamo essere rapidi, efficaci, specializzatissimi e sapere tutto. E in più dobbiamo guarire, non curare. onnipotenti ed impotenti di fronte alle richieste esterne, allo sguardo degli altri su di noi ed al nostro sentimento di noi stessi. veloci o lenti non andiamo mai bene, né per noi né per gli altri e così possiamo sentirci inadeguati e frustrati ma, allo stesso tempo, testimoni di un’idea del lavoro e della cura fuori dal concetto di tempo in corsa costante.
il tempo diventa dunque nodo centrale.
il tempo del corpo e della mente non sempre coincide con il tempo dei desideri.
cosa dobbiamo rispondere a chi chiede di renderli immortali? saremo capaci di riportarli in un altro tempo, che segue logiche che non necessariamente coincidono con il principio del piacere? memento mori o, come dice il samurai alla mattina, “vivi come se fosse il tuo ultimo giorno”.
il futuro é nell’arcaico o, forse, nella sua trasformazione.
Nel corpo, non meno che nel cervello, è racchiusa la storia della vita. (Edna O'Brien)
venerdì 29 maggio 2009
martedì 26 maggio 2009
guizzo e luce. la materia dei futuristi.
il lampo squarcia il cielo, lo schianta con la sua forza.
è una città industriale piovosa che improvvisamente scopre la forza della luce.
per i futuristi è nata una nuova materia.
se entrate alla mostra come dei bambini -come forse sempre si dovrebbe fare- ne riceverete il trattamento migliore.
avrete in dotazione un registratore con la presentazione della mostra e dei suoi passaggi più spettacolari accompagnati da due amici che definirei geniali, nel nome quanto nell'intuizione: guizzo e luce.
"Noi siamo degli scherzi di luce. La materia non esiste."
"Il moto e la luce distruggono la materialità dei corpi."
la contraddizione sta nel fatto che luce scorpora l'immobilita' dei corpi ma non la smaterializza affatto. anzi le da una nuova forma e che forma, quale incredibile forma. ma ogni cosa viva si alimenta di contraddizioni, la coerenza appartiene alla categoria delle cose morte.
le immagini classiche dei futuristi sono gia', di partenza, figure di grande bellezza e sapienza. il disegno e' uno strumento potente in mano ad artisti esperti. la smantellamento della tradizione deve avere come punto di partenza la conoscenza della tradizione. la sperimentazione nasce necessariamente dalla manipolazione esperta delle risorse. nessuno puo' inventarsi innovatore se non sa da dove partire. nessuno scrittore puo' iniziare a scrivere sul piu' immaginifico dei mondi se non conosce la materia di cui tratta, parole e esperienza della realta'. una spiegazione confusa e' la spia piu' potente che chi scrive non sa. non sa di cosa parla il suo scrivere.
anche un pittore, uno scultore sa, sa di cosa parla la sua creazione. domina il suo linguaggio. altrimenti non dice niente, non sa di cosa parla il suo dipingere.
le immagini
di un corpo nudo di donna intenso e scolpito nella carne come materia viva,
di una figura femminile assorta e pensosa, piegata sul proprio sentire
di filari di piante desolate scagliate nel cielo come corpi nudi
di una madre in attesa che pena ansiosa con occhi umidi,
di una visione di teschi in un delirio visivo che trasfigura la propria immagine,
di una testa di cera che si piega umile e stanca sulla propria materia corruttibile
tutto questo dice che chi dipinge e scolpisce, questi Previati Boccioni Balla Carrà Russolo Medardo Rosso, conosce i propri mezzi.
e poi ecco che la luce e il guizzo in avanti, oltre, oltre il suono, oltre la velocita', avanti sempre piu' avanti, compaiono nella mente, e poi sulla tela, di chi immagina un mondo in eterno movimento.
un mondo dove la luce diviene un modo, una rappresentazione della realtà.
la luce viene da dietro e spinge in avanti, infuocata, cavalli mitici guidati da un dio che non ha tempo.
ma i soggetti preferiti sono quelli cittadini, con gente, folla, strade, lavoro, movimento, treni e macchine. il futuro che avanza, la tecnologia che trasforma la vita, definitivamente, ineluttabilmente, come ancora oggi sperimentiamo, futuristi del futuro.
la città lavora, cresce, si affolla.
voi avete in mente "una citta' che sale"? certo che l'avete, ci vivete. eccola sale turbinosamente a creare un vortice che tutto avvolge freneticamente dentro se'. cosi' siamo, riavvolti confusamente dal turbine che creiamo noi stessi con la nostra stessa cinetica incessante.
è un cavallo. ma è molto di più, è l'energia che prende forma.
voi avete in mente la stazione ferrosa con partenze e arrivi e soste e gente e binari e luce e stridore? certo che l'avete in mente. Eccola con il metallo che avanza e le figure di chi resta, o parte, o lavora, avvolte dalla luce di un tramonto tagliente rosso alle spalle e così terribilmente faticoso di fine giornata.
ed eccoli quelli che restano. le linee dall'alto sbarrano il movimento. sembrano muoversi ma lo spazio non c'è. segregati dall'impossibilità di un pensiero libero. fantasmi ingabbiati. sbarre della mente.
voi avete in mente la folla che si accalca curiosa richiamata dall'evento mortale catastrofico sanguinoso? Come falene richiamate dalla luce, la luce della vetrina in città, corpi in ascesa verso l'epicentro. densità.
“Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità penosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.”
un cavallo rosso di Carrà si scorpora e ci mostra il suo andare. veloce. incalzante.
un cavaliere avanza e ci dimostra la plasticità dei corpi e del movimento, dei corpi in movimento. le sue forme si prendono lo spazio intorno, lo modificano. è un cavaliere elettrico, fatto di luce energia e materia flessibile.
tutto avanza.
questo corpo è presente e passato e futuro, è movimento fissato su una pellicola. è energia che si trasforma, nel movimento, nella forma del tempo.
e se questo guarda in basso, salto nel vuoto nella vertigine della velocità in picchiata
questo guarda in alto, costruzione solida di un futuro di cemento, senza verde, senza natura, fatta costruita e pensata per un uomo senza tempo.
in un'epoca senza storia dominata da un uomo che vince presuntuosamente sulla morte.
è una città industriale piovosa che improvvisamente scopre la forza della luce.
per i futuristi è nata una nuova materia.
se entrate alla mostra come dei bambini -come forse sempre si dovrebbe fare- ne riceverete il trattamento migliore.
avrete in dotazione un registratore con la presentazione della mostra e dei suoi passaggi più spettacolari accompagnati da due amici che definirei geniali, nel nome quanto nell'intuizione: guizzo e luce.
"Noi siamo degli scherzi di luce. La materia non esiste."
"Il moto e la luce distruggono la materialità dei corpi."
la contraddizione sta nel fatto che luce scorpora l'immobilita' dei corpi ma non la smaterializza affatto. anzi le da una nuova forma e che forma, quale incredibile forma. ma ogni cosa viva si alimenta di contraddizioni, la coerenza appartiene alla categoria delle cose morte.
le immagini classiche dei futuristi sono gia', di partenza, figure di grande bellezza e sapienza. il disegno e' uno strumento potente in mano ad artisti esperti. la smantellamento della tradizione deve avere come punto di partenza la conoscenza della tradizione. la sperimentazione nasce necessariamente dalla manipolazione esperta delle risorse. nessuno puo' inventarsi innovatore se non sa da dove partire. nessuno scrittore puo' iniziare a scrivere sul piu' immaginifico dei mondi se non conosce la materia di cui tratta, parole e esperienza della realta'. una spiegazione confusa e' la spia piu' potente che chi scrive non sa. non sa di cosa parla il suo scrivere.
anche un pittore, uno scultore sa, sa di cosa parla la sua creazione. domina il suo linguaggio. altrimenti non dice niente, non sa di cosa parla il suo dipingere.
le immagini
di un corpo nudo di donna intenso e scolpito nella carne come materia viva,
di una figura femminile assorta e pensosa, piegata sul proprio sentire
di filari di piante desolate scagliate nel cielo come corpi nudi
di una madre in attesa che pena ansiosa con occhi umidi,
di una visione di teschi in un delirio visivo che trasfigura la propria immagine,
di una testa di cera che si piega umile e stanca sulla propria materia corruttibile
tutto questo dice che chi dipinge e scolpisce, questi Previati Boccioni Balla Carrà Russolo Medardo Rosso, conosce i propri mezzi.
e poi ecco che la luce e il guizzo in avanti, oltre, oltre il suono, oltre la velocita', avanti sempre piu' avanti, compaiono nella mente, e poi sulla tela, di chi immagina un mondo in eterno movimento.
un mondo dove la luce diviene un modo, una rappresentazione della realtà.
la luce viene da dietro e spinge in avanti, infuocata, cavalli mitici guidati da un dio che non ha tempo.
ma i soggetti preferiti sono quelli cittadini, con gente, folla, strade, lavoro, movimento, treni e macchine. il futuro che avanza, la tecnologia che trasforma la vita, definitivamente, ineluttabilmente, come ancora oggi sperimentiamo, futuristi del futuro.
la città lavora, cresce, si affolla.
voi avete in mente "una citta' che sale"? certo che l'avete, ci vivete. eccola sale turbinosamente a creare un vortice che tutto avvolge freneticamente dentro se'. cosi' siamo, riavvolti confusamente dal turbine che creiamo noi stessi con la nostra stessa cinetica incessante.
è un cavallo. ma è molto di più, è l'energia che prende forma.
voi avete in mente la stazione ferrosa con partenze e arrivi e soste e gente e binari e luce e stridore? certo che l'avete in mente. Eccola con il metallo che avanza e le figure di chi resta, o parte, o lavora, avvolte dalla luce di un tramonto tagliente rosso alle spalle e così terribilmente faticoso di fine giornata.
ed eccoli quelli che restano. le linee dall'alto sbarrano il movimento. sembrano muoversi ma lo spazio non c'è. segregati dall'impossibilità di un pensiero libero. fantasmi ingabbiati. sbarre della mente.
voi avete in mente la folla che si accalca curiosa richiamata dall'evento mortale catastrofico sanguinoso? Come falene richiamate dalla luce, la luce della vetrina in città, corpi in ascesa verso l'epicentro. densità.
“Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità penosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.”
un cavallo rosso di Carrà si scorpora e ci mostra il suo andare. veloce. incalzante.
un cavaliere avanza e ci dimostra la plasticità dei corpi e del movimento, dei corpi in movimento. le sue forme si prendono lo spazio intorno, lo modificano. è un cavaliere elettrico, fatto di luce energia e materia flessibile.
tutto avanza.
questo corpo è presente e passato e futuro, è movimento fissato su una pellicola. è energia che si trasforma, nel movimento, nella forma del tempo.
e se questo guarda in basso, salto nel vuoto nella vertigine della velocità in picchiata
questo guarda in alto, costruzione solida di un futuro di cemento, senza verde, senza natura, fatta costruita e pensata per un uomo senza tempo.
in un'epoca senza storia dominata da un uomo che vince presuntuosamente sulla morte.
mercoledì 13 maggio 2009
desiderare è rivoluzionario
finalmente ho visto questo film.
e finalmente ho visto un film.
finalmente un film che ha qualcosa da dire e lo dice molto coraggiosamente.
finalmente un film che guarda dentro a una relazione tra un uomo e una donna, che travalica le banalità, che guarda oltre il giardino, che vede dentro casa, che vede una storia, la storia di un desiderio, lo vede apparetemente crescere, ma soprattutto lo vede svanire, lo osserva miseramente fallire e lo guarda morire e gemere agonizzando con una lucidità esemplare.
finalmente.
finalmente una storia a due che racconta dell'incontro di due idealità, di due mondi che credono di riconoscersi e per questo, illusoriamente, si scelgono.
finalmente una storia che racconta di una donna culturalmente mentalmente spiritualmente autentica nella sua diversità, nella sua rivoluzionarietà creativa e affettiva, nella sua aspirazione alla felicità, nella sua fede nel desiderio, che non può sopravvivere alla morte ineludibile di un progetto di vita.
finalmente un film che racconta di un uomo, piccolo, molto piccolo, incapace di essere all'altezza della sua compagna, che recita una parte in cui non sa credere, che si finge diverso da quello che è e, soprattutto, non sa ammettere di esser un uomo semplicemente appagato dalla normalità. un uomo che mente, un uomo che subdolamente cavalca le situazioni a favore del proprio "nanismo" intellettuale trasformandole in opportunità del destino, un uomo che non sa vedersi per quello che è, un uomo vigliacco.
La storia rigurgita di drammaticità, dove il dramma sta nella lucidità di lei, l'estremo intelligente raffinato intuitivo sguardo disperato di lei sul mondo, soprattutto interiore, a contrasto con gli opportunismi e le false verità proposte come risolutive da lui. lei non parla mai a caso, anzi chiede di non parlare quando non serve, lei sa tenere dentro di sè l'inspiegabilità del dolore, sa che parlare può essere, a volte, solo distruttivo. lei chiede di poter pensare. lasciami pensare. lasciami il diritto di soffrire. lasciami decidere di morire. lui insulta, si anima di parole aggressive che scaricano l'emotività come un rigurgito. lui non sa stare senza agire, non sa stare nel dolore delle non risposte. lui non sa pensare.
c'è drammaticità nei momenti in cui si percepisce la capacità di lei di vedere oltre le parole e le situazioni. la capacità di intuire le bugie e la perdita di senso. lei vede e non può assistere a questo fallimento.
lei vive di desiderio. lui lo uccide. lei muore.
lei si nutre di progetti di vita. lui la ingabbia nella routinarietà della tradizione familiare. lei si spegne.
nel film la verità parla attraverso la pazzia. solo lo psicotico sottoposto a elettroshock terapia vede l'essenzialità delle cose, intuisce la creatività dell'amore così come percepisce la mostruosità di una nascita indesiderata e manipolata. a questo non credo perchè anche lei, che non è pazza, vede.
solo che per vedere, per credere, per desiderare bisogna mettere in conto di poter e di saper soffrire. mettere in conto di trovarsi definitivamente soli.
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lunedì 11 maggio 2009
Progetti
ne ho almeno tre in testa.
le metamorfosi
guizzo e luce del futurismo.
poetica al femminile.
se qualcuno ha del tempo da vendermi.
pazienza.
le metamorfosi
guizzo e luce del futurismo.
poetica al femminile.
se qualcuno ha del tempo da vendermi.
pazienza.
"ci sono cose nel silenzio che non mi aspettavo mai..."
La realtà dell'altro non è in ciò che rivela, ma in quel che non può rivelarti.
Perciò se vuoi capirlo, non acoltare le parole che dice, ma quello che non dice.
K. Gibran
questo è per voi, lupi solitari e silenziosi delle steppe. soprattutto uomini, che parlate una non lingua, quella non verbale.
e per me che spesso stento a capire ma dovrei ben sapere che a volte le pulsioni, per tutti naturalmente, non emergono con un nome, ma con un alone.
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