bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

martedì 27 aprile 2010

uomini. stare a corto di pazzia, mi toglie l'allegria, la voglia di mandare il sangue al cuore


lo so lo so, avrei mille post da scrivere, poi li scrivo. un giorno lo faccio.
c'è un bicchiere di vino che mi aspetta già da un po' ormai.
e baricco.
e il nastro bianco.
e gli adolescenti.
ma è un periodo così.
ascolto tutto di tutto e tutto mi prende. forse ho una malattia.
come se avessi sviluppato una sensibilità all'ascolto che non mi da pace.
una canzone, una conferenza sull'interpretazione analitica, un meeting sugli adolescenti, un film sulla visione negata, un amico che parla.
le parole, sempre loro, mi catturano.
ascolto Fossati e mi tocca i pensieri. prima li accudisce, poi li coltiva, poi li esalta.
sono in uno stato emorragico.

queste due sono per voi. uomini.
svegliatevi dico io. svegliatevi.
prendetelo tra le mani, il vostro cuore, e guardatelo pulsare.
e non fate battute cretine, il cuore, ho detto il cuore.

Di tanto amore
E magari morirò
di tanto amore
magari no
chi lo può dire?

Un anno e più non è uno scherzo
può renderti diverso
un anno è la fotografia
di te stesso che vai via.

E lei è lei, non può cambiare
dolcissima e immortale.
presto, dov'è la mia faccia più dura
che non veda che ho paura.

E mentre andrò dovrò pensare
tu non sei uomo da piegare
quante ne ho avute, quante ne ho volute
e poi dimenticate.

C'è chi mi odia per gli amori da un'ora
e chi mi cerca ancora
e non sa che avrei bisogno stasera
più che d'altro d'una preghiera.

Perché so
perché lo so.

Di tanto amore morirò
di questo amore morirò
avrò la faccia più dura

ma una parola e morirò
ha i suoi motivi la paura
dovrei saperlo già da un po'.

Ehi come stai sapore amaro
di appuntamenti a cui mancavo
di pensieri sempre i più buoni
cancellati dalle intenzioni.

Estate di corsa temporali d'agosto
e poi cambiare ad ogni costo
ehi come stai, sapore amaro
di una fine sicura.

perché so
perché lo so.

Di tanto amore morirò
di questo amore morirò
avrò la faccia più dura

ma una parola e morirò
ha i suoi motivi la paura
dovrei saperlo già da un po'.

http://www.youtube.com/watch?v=YAt_ot_MvMk



Bacio sulla bocca
Bella,
che ci importa del mondo
verremo perdonati te lo dico io
da un bacio sulla bocca un giorno o l'altro.

Ti sembra tutto visto tutto già fatto
tutto quell'avvenire già avvenuto
scritto, corretto e interpretato
da altri meglio che da te.

Bella,
non ho mica vent'anni
ne ho molti di meno
e questo vuol dire (capirai)
responsabilità
perciò…

Volami addosso se questo è un valzer
volami addosso qualunque cosa sia
abbraccia la mia giacca sotto il glicine
e fammi correre
inciampa piuttosto che tacere
e domanda piuttosto che aspettare.

Stancami
e parlami
abbracciami
guarda dietro le mie spalle
poi racconta
e spiegami
tutto questo tempo nuovo
che arriva con te.

Mi vedi pulito pettinato
ho proprio l'aria di un campo rifiorito
e tu sei il genio scaltro della bellezza
che il tempo non sfiora
ah, eccolo il quadro dei due vecchi pazzi
sul ciglio del prato di cicale
con l'orchestra che suona fili d'erba
e fisarmoniche
(ti dico).

Bella,
che ci importa del mondo.

Stancami
e parlami
abbracciami
fruga dentro le mie tasche
poi perdonami
sorridi
guarda questo tempo
che arriva con te
guarda quanto tempo
arriva con te.

http://www.youtube.com/watch?v=8PafDO-lATI

lunedì 26 aprile 2010

l'irrequietezza è simile a una stella scintillante che scioglie i capelli ovunque si posi



la tristezza è un altro
che non si assapora
uno scaffale di stanchezza
disteso
sulle palpebre del sogno
e non si addormenterà simile a una farfalla.

Islam Samhan


infatti e' li', sul comodino, mi guarda, sono stanca, mi accarezza ma non ha ali. non mi addormento.

sabato 24 aprile 2010

Inciampo



cammino.
veloce, verso l'ospedale.
ho fretta, come sempre.
e sono emozionata, come spesso mi succede.
porto con me i documenti per il concorso.
niente di importante in verità, solo un pro-forma, ma è comunque il mio incarico, il mio lavoro, il mio impegno quotidiano.
ci ho lavorato tutto il giorno prima, fino a tardi la notte...sono stata convocata a sorpresa, ho dovuto rivedere il mio curriculum, aggiornarlo, in un tempo ridicolmente breve.
ho scritto, ordinato, verificato, compilato la domanda e riposto tutto in una cartellina.
un lavoro da manuale, un lavoro da Rossa, precisa, puntuale, efficiente.

cammino.
veloce, verso l'ospedale.
ho fretta, come sempre.
e sono emozionata, come spesso mi succede.
cammino e...mi cade tutto dalle mani.
tutto il materiale cartaceo, domanda, curriculum , documenti, pubblicazioni, partecipazioni a congressi...tutto per terra.
e la terra è bagnata, ha piovuto il giorno prima.
sono attonita, sorpresa.
come è potuto succedere?
non sono inciampata, non fisicamente.
tutto e' caduto dalle mie mani. tutto mi e' sfuggito dalle mani.
raccolgo tutto, tutto sporco tutto in disordine, la cartella rotta.

sono inciampata, non fisicamente ma
mentalmente
SI.
mentre raccolgo capisco di non essere arrabbiata.
mentre raccolgo mi rendo conto, lucidamente, che questo è un messaggio che mi mando, che mando a me stessa.
mi sto parlando.
mi sto commentando.
mi sto rammentando che sono diversa. o che posso essere diversa.

che non ho bisogno di questo ordine esteriore, di questa ossessiva coordinazione dei passaggi, di questa adeguatezza di presentazione e di questa precisione di forma.
inciampo. posso inciampare.
inciampo emotivamente, e il marciapiede sotto di me me lo dimostra, perchè devo imparare che io valgo comunque, che il mio lavoro è riconosciuto comunque, che io posso essere un bravo medico senza bisogno di essere formalmente perfetta.
un bravo medico, una brava persona, una persona.

soprattutto, anche se emozionata sempre, una persona serena.


martedì 20 aprile 2010

secondo me



la liberta' è un lusso per chi può o pensa di potersela permettere.
la sincerita' e' una bugia travestita da buone intenzioni.
la verita' e' una distorsione a proprio piacimento. ognuno ha, di fatto, la sua.
questi sono concetti manipolabili e manipolatori, sono parole grosse con un significato variabile a seconda di contesti e persone.

la libertà è una questione impossibile, irrisolvibile.
L'amore è libertà, è godere insieme di un sentimento, è comunicazione, oppure è vincolo, limitazione, chiusura, obbligo? Il senso del dovere, il senso morale, l'equità sono limitanti la libertà o sono espansioni del nostro senso di libertà?
anche la libertà si relativizza, come tutte le cose.
la libertà non esiste per tutti, non è uguale per tutti: la mia libertà sono le mie possibilità di scelta, compatibilmente con il mio senso morale. se posso, scelgo.

Come si legge in Siddharta, come qualcuno mi ha recentemente ricordato:
"...d'ogni verità anche il contrario è vero. Una verità si lascia enunciare e tradurre in parole solo quando è unilaterale... Ma il mondo in sè, ciò che esiste intorno a noi, non è unilaterale. Mai un uomo, o un atto, è tutto samsara o tutto nirvana, mai un uomo è interamente santo o interamente peccatore. Sembra così perchè noi siamo soggetti all'illusione che il tempo sia qualcosa di reale. Il tempo non è reale, Govinda. E se il tempo non è reale, allora anche la discontinuità che sembra esservi tra il mondo e l'eternità, tra il male e il bene, è un'illusione".
l'enunciazione della propia verità, esaltata dalla presunzione di sincerità, è semplicemente un'estratto della nostra personalissima realtà quotidiana. trovo più consolante la consapevolezza della propria impossibilità di accettare la diversità, piuttosto che l'ingenuità di pensare di possedere una verità che farà bene, molto bene all'altro nel momento in cui gliela comunico, orgogliosamente.
chi sbandiera sincerità, verità, sarà semplicemente deresponsabilizzato dei propri gesti, perchè, in quanto veri, saranno inconfutabili e andranno accettati per quello che sono.
penso al contrario che se moduliamo il nostro comportamento, con cautela, valutando chi abbiamo di fronte, senza forzare con dichiarazioni assolute, senza inchiodare con attestati di obiettivita', saremo più capaci di relazionarci, con rispetto, con attenzione, con vicinanza.



credo invece
nell'unicita'
nell'autenticita'.
sono concetti per me piu' familiari, piu' consoni alla mia natura, piu' ossservabili in una persona e, soprattutto, in amore.
se amo una persona, ne amo solo una. unicamente una, non c'e' posto per un'altra, non per come concepisco io l'amore. rosso, ovviamente.
non potrei amare tutte le persone che mi piacciono. mi piacciono ma non le amo.
e non potrei amare per sempre una persona che ho amato e con la quale non ho piu' relazione. l'amore e' a termine, non è infinito. e' eterno nel momento della sua attuazione ma vive della sua finitezza, seppur inconsapevolmente.
come spesso affermo ogni cosa ha un suo nome, e amore e' un nome che solo alcune cose meritano di avere.
non amiamo chiunque, ma solo chi riflette fedelmente i nostri abissi. una volta calati nella nostra follia, grazie alla mediazione dell'altro al quale riconosciamo il potere di "averci fatto impazzire", di "averci fatto perdere a testa", non si riemerge più come eravamo perchè, dopo questo cedimento, l'altra parte di noi ci ha contaminato. dopo avere amato, non siamo più ciò che eravamo.

"Se trascendersi è valicare la propria solitudine, non mi è dato sapere ciò che sarò nella carne dell'altro, ma certamente non sarò più ciò che sono.
La mia identità in pericolo rende il mio corpo esitante, maldestro, insicuro, non per imperizia, ma per la vertigine che accompagna la scoperta di quegli aspetti di me che solo l'altro può svelarmi.
Nella mia esitazione c'è il dramma di ogni trascendenza, che consiste nel sapere qualcosa di sé per dono dell'altro".

Umberto Galimberti "Le cose dell'amore"

l'amore è un gioco forte, in cui si rischia la propria identità, in cui la persona amata acquista un potere enorme su di noi consegnandole il nostro desiderio.
in questo sta l'unicità e irripetibilità del rapporto d'amore.
in questo l'autenticità del nostro sentire.
in questo ci giochiamo ai dadi, per lo piu' perdendoli, libertà, sincerità e verità.
come potrei pensare di amare tutti?
ne amo uno, e, se sopravvivo, è già tanto.


foto da
http://www.flickr.com/photos/28259716@N02

venerdì 16 aprile 2010

bum bum e schiele



bella coppia bum bum, piace anche a me.
io lo trovo emozionante. i corpi stropicciati come le lenzuola dell'amore.

mercoledì 14 aprile 2010

Schiele. Sono talmente ricco da essere costretto a dilapidare ciò che è in me



"Ho in me risorse immediate, vorrei dire…
per condurre la mia ricerca, per poter inventare,
per scoprire, con mezzi che sento nel mio intimo,
che da soli hanno la forza di incendiare, di bruciare,
di splendere, come un pensiero, di luce eterna,
e di aprire un varco di luce nella più oscura eternità
del nostro piccolo mondo…Così sento incessantemente
qualcosa di più, qualcosa d’altro, una luce
che dal mio intimo brilla all’infinito…
Sono talmente ricco da essere costretto
a dilapidare ciò che è in me”.

(Egon Schiele, Lettera a Oskar Reichel, settembre 1911).

ho scoperto che Schiele era bello. scaruffato, occhi grandi, fisico snello, fotogenico, sensuale. bello.
ho scoperto che è morto a 28 anni, tre giorni dopo la sua amatissima compagna, ritratta in tutte le posizioni del mondo, incinta di sei mesi, entrambi colpiti dall'influenza spagnola. ho scoperto che Schiele era allievo e grande amico di Klimt e contemporaneo di Freud.
no dico, Klimt e Freud. potrei finire qui il post.
Schiele è potente. la sua immagine è forte. le sue forme deformate sono sensuali, fisicamente prepotenti.
dopo le donne dorate ed evangeliche di Klimt e la psicoanalisi destrutturante di Freud, Schiele riprende le fila del discorso e ritrae donne dalle forme decise eroticamente pregnanti e la sessualità diventa un gioco artistico per parlare del proprio inconscio.
ho scoperto, alla mostra, che "schielen", in tedesco, significa essere strabici, guardare di sottecchi. un destino in un nome. la forma e la deformazione "strabica" delle immagini di Schiele sono l'esito di un percorso nella malinconia del ricordo. non sono immagini leggere, non sono leggiadre, sono gravate dalla vita, dal vissuto, dalla carica della sessualita', dal pensiero della tragicita'. in quei corpi ci sono delle domande, ma, naturalmente, come l'analisi ci insegna, in assenza di risposte.





la mostra di Milano presenta molte foto di Schiele. su alcune mi sono fermata molto affascinata. foto riflesse allo specchio, come in una psicoanalisi, l'immagine di sè si riflette e si riverbera, diversa, su un altro lato. e ho avuto la sensazione che lo stesso accada con le donne dei suoi ritratti osceni.
quelle donne sono lui, sono la sua immagine riflessa. l'altra è lui. azzardo? perchè no, l'arte me ne da il diritto.
guardate le mani dei dipinti di Schiele, sono impressionanti. sono raffigurate in pose contorte, le mani sono aggrovigliate, come i vestiti, le calze, i reggicalze colorati, come le gambe.


guardate le mani di questa foto.

le mani di Schiele sono le mani delle sue donne.
la femminilita' e' un riflesso della sua mente, la sessualita' e' il modo della relazione con l'altro da se', il corpo delle sue donne e' il suo corpo riflesso in uno specchio analitico.



cosi' penso, cosi' ho guardato.
"La conoscenza è un atteggiamento, una passione…
Non è vero che il ricercatore insegue la verità,
è la verità che insegue il ricercatore."
(Robert Musil, L’uomo senza qualità)

"Inspirando io calmo il mio corpo, espirando io sorrido. Soffermandomi sul presente so che questo è un momento meraviglioso"



intanto oggi
MASSAGGIO

alla ricerca dell'atma, soffio vitale.
« Si è alzato il volto luminoso degli Dei, l'occhio di Mitra, di Varuṇa, di Agni, ha colmato il cielo la terra e l'aria: il Sole (Sūrya) è il soffio vitale di ciò che è animato e di ciò che non è animato »

poi si vedra'.

shanti

sabato 10 aprile 2010

50mila lacrime e un sogno di mezza estate milanese che non c'e'



provo un senso di piacere a vedere del buon cinema italiano.
e' confortante.
e' anche importante.
perche' il cinema e' un buon veicolo di arte, emozione, interesse, cultura.
e' lo specchio di un modo di pensare.
e' spesso il riflesso di un modo di vivere.
e' un modo di comunicare privilegiato.
perche' e' completo e modulabile su piu' livelli, come una buona riflessione dovrebbe essere. come un linguaggio.
ho visto Happy Family di Salvatores e Mine Vaganti di Ozpetek.
il primo e' ambientato a Milano, la mia citta' e questo me lo ha reso familiare e intimo. e' esilarante in modo genuino e rende l'idea dell'ideazione creativa. per imitazione della vita e per sviluppo anarchico dei pensieri.i personaggi sono imprevedibili e fanno sempre pensare di essere li' per caso, come se ci fosse tutto un mondo sottinteso e camuffato..e cosi' e' in effetti. e' un film sulla felicita' per caso, come la vita.


il secondo e' ambientato a Lecce, una citta' che conosco, magica e fatata come poche al mondo. e' la citta' della luce, del tufo mangiato da vento, del silenzio dell'una al sole del sud. e il film e' magico e intenso allo stesso modo.
non e' tanto quello che dice questo film che ha un senso. e' come lo dice. e' il suo codice cha affascina.
e' un film popolato da personaggi incredibili, come una Ilaria Occhini di una bellezza anziana che non ha parole, folgorante con una scena iniziale di una sposa di un bianco accecante e cieco, animato da una commozione tenera e innamorata pervadente.
e' un film abitato da Tommaso, interpretato da Scamarcio, che vuole scegliere, scegliere di essere libero, scegliere di fare lo scrittore. e lo capsico. anche io vorrei. scrivere, sempre.
e' un film sottolineato da una colonna sonora che mi fa impazzire di gioia.
oltre a un sogno di patty pravo e anche a un pensiero stupendo in una scena di intesa senza parole...ascoltate 50mila lacrime di Nina Zilli e poi mi dite.
sto ancora ballando, davanti allo specchio, come piace a me. e anche a Scamarcio, che non guasta!!

Cinquantamila lacrime
non basteranno perchè
musica triste sei tu dentro di me.
Cinquantamila pagine
gettate al vento perchè
eterno è il ricordo, il mio volto per te
Non ritornare,
no tu non ti voltare,
non vorrei mi vedessi cadere.

A me piace così,
che se sbaglio è lo stesso,
perchè questo dolore è amore per te.

Cinquantamila lacrime
senza sapere perchè
sono un ricordo lontano da te.
Cinquantamila lacrime
non basteranno perchè
musica triste sei tu dentro di me.
Non mi guardare,
non lo senti il dolore,
brucia come un taglio nel sale.

A me piace così,
che se sbaglio è lo stesso,
perchè questo dolore è amore per te.

A me piace così,
e non chiedo il permesso,
perchè questo dolore è amore per te.

http://www.youtube.com/watch?v=lSxmnCpqYmY

mercoledì 7 aprile 2010

colpo di fulmine


va bene.
il mio post amore vino fantasia poesia pezzi di vetro lo avete ignorato?
va bene.
siete dei bufali (tranne uno).

oggi elettromiografia. alle spalle. fanno un male cane, andiamo a vedere se le radici soffrono.
non soffrono.
ma l'esame fa soffrire.
unico sollievo.
l'elettrofisiologo.
si.
tutta la vita.
prima mi chiede l'impegnativa. guarda, perche' guarda, e bene, e se ne va.
poi esce di nuovo e mi chiama. per nome. "Rossa?"
sono io (red passion per la verita' ma fa lo stesso).
entro.
mi fa domande, difficili, e io la sfango dicendo: sono un medico anch'io.
passiamo, di prassi, subito al tu. caro vecchio sentimentale tu.
ottimo.
siruazione intima direi. confidenziale.
casa fai nella vita?
ma non so...elettromiografie?
si parla di esami difficili perche' lo fai ma perche' soffri ma da quanto cosi' ora facciamo tutto ma non ti preoccupare.
mentre parlo gesticolo, molto, come faccio io, e indico le spalle. segue i miei gesti e compone su di me una rapida occhiata al mio insieme, volto, capelli, decollete', orecchini e girocollo nero. guarda, l'elettrofisiologo guarda.
non e' sfacciato. diciamo che sa come si guarda.
dammi le mani.
stiamo per fare l'elettromiografia o stiamo parlando della mia vita?
mi deve dare le scosse alle mani o stiamo entrando in analisi? la faccio gia', grazie.
togliti l'orologio.
ok.
anche l'anello sul pollice.
ok.
il bracciale anche, meglio.
ok.
si siede davanti a me, solleva il golf e mi accarezza tutto il braccio.
e' per l'esame.
ovvio.
poi mi apre la mano e l'accarezza di nuovo.
e' sempre per l'esame.
bene dico.
tutte cosi' le elettromiografie? forse dovrei farne un'altra con un altro e vedere se fa come fa lui. secondo me NO.
pronta?
si.
vabbe' le scosse non sono piacevoli, sussulto per la sorpresa.
tranquilla, ci sono io.
certo, da sola non lo farei.
ora dobbiamo fare la parte invasiva, inserimento di aghi e opposizione di forza.
fa male?
dipende, qualcuno non fa una piega, qualcuno non ci sta.
(...)
mi chiede di mettermi di spalle.
mi dice: sotto il golf hai solo un top?
allora spogliati.
svengo?
mi metto di spalle mi sposta i capelli.
di sicuro vede il mio tatuaggio sulla spalla sinistra.
non dice niente ma so che lo ha visto.
l'ho sentito dal respiro.
e lo ha guardato come ha guardato il resto.
ma lo splendore non lo ferma, ci infila un ago...e' pur sempre un modo per entrare in contatto, penso. lo perdono.
mi prende il braccio, alza, spingi, solleva, brava.
mi ripone il braccio e poi con la mano, alza solleva spingi molto brava..
devo continuare?
fine dell'esame.
abbiamo finito,
se vuoi, dice, puoi rivestirti.
e se non volessi?

tutto bene, non c'e' sofferenza radicolare, ti do subito il referto.
questa, l'impegnativa, puoi metterla via. sei una collega, una mia collega.
sono tua?

arrivederci.
buon lavoro.
anche a te.
stretta di mano. me la stritola.
biglietto da visita?

lunedì 5 aprile 2010

poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole



in questi giorni ho nella testa, perchè l'ho riascoltata da poco, e riascoltata e riascoltata come sono solita fare io, l'uomo che cammina sui pezzi di vetro, quello che dicono abbia due anime e un sesso, un cuore di ramo duro, quello che ti offre la sua ultima carta, il suo ultimo prezioso tentativo di stupire e ti dice sono quattro giorni che ti amo, ti prego non andare via, non lasciarmi ferito..
sono giorni che la penso e improvvisamente me la ritrovo scritta su un giornale, raffinato e colto, che parla di vino e poesia. connubio insolito ma non impossibile. anzi.

io mi incanto sugli incantesimi delle parole.
come quello di camminare sui pezzi di vetro, di ferirsi non è possibile, morire meno che mai e poi sanguinare per molto altro. molto ma molto di più. un taglio che non si rimargina, piccolo profondo inguaribile.
come il silenzio del sangue che circola lento di una poesia di Tahar Ben Jelloun, autore marocchino che ho molto amato e molto letto, e ora scopro abbia scritto di "stelle velate".
e di nuovo mi incanto, mi fermo stupita e non capisco come mai in un minuto gli ho lasciato tutto quello che ho...



Sul seno nudo di una fanciulla addormentata
il mattino si è posato lentamente.
una carezza, un bacio proibito
all'insaputa della notte sollevando il velo del sogno.
sulla spalla la bianca spuma del giorno
ricordo dell'ultimo abbraccio
brucia di un respiro silenzioso
corpo solitario che la luce sottomette
nudità fiera abbracciata dal calore
in questo oceano di sabbie segrete.
punta di dolcezza in questa passione senza testimoni
il fuoco e la lingua leccano i piedi e la roccia
il ginocchio leggermente piegato fa ombra
sul ventre liscio e ardente delle sabbie.

E io veglio sulla collina
la polvere del tempo sulle palpebre
sul desiderio.

(Tahar Ben Jelloun
Stelle Velate)


davanti a un bicchiere di vino, e magari con del vino che circoli lento anche dentro, aspetto un uomo che sappia parlare, incantandomi, bruciando la pesantezza delle parole o camminare sui pezzi di vetro. il desiderio non necessita di una risposta e non contiene una soluzione. parlare di desiderio è fuori da ogni logica. il desiderio, casomai, rompe la logica del discorso, la sua grammatica la sua sintassi. il desiderio è ciò che nel discorso non si fa capire, che crea problemi, che mette in difficolta'.
parlare di desiderio con un uomo e' un parlare fuori dalla logica, un parlarsi "fuori gioco". quanti equivoci crea questa aspettativa, un uomo si aspetta di dover recitare poesie, di servire frasi fatte, di presentare l'anello di fidanzamento.
parlare d'amore e' solo parlare fuori dagli schemi, i propri, e incespicare.

venerdì 2 aprile 2010

LEBANON. gruppo di guerra in un interno.



campo di girasoli.
3 giugno 1982, prima guerra del Libano.
progressiva melmificazione.
campo di girasoli.
così comincia, così finisce, questo film.
la guerra è un'allucinazione.
forse il "rinoceronte", il carroarmato, non si è mai spostato di lì.
il resto, il disfacimento e la paura, la dissociazione mentale e la lordura, sono, come sempre, dentro di noi.
lo avrete pensato anche voi, quante volte, vedendo i film di guerra.
avrete pensato che, in fondo, la guerra è bella. è tosta. è forte. è coraggiosa. è inevitabile. è maschia. è cazzo duro e fanculo ai bastardi assasini. dovete morire tutti.
si lo avete pensato.
e, ve lo dico, chi ve lo ha fatto pensare ha fatto bene il suo mestiere, ipnotizzandovi.
la maggior parte dei film di guerra sono propaganda guerrafondaia allo stato puro. puro perchè sottili, insinuanti, subliminali: ti faccio credere di mostrarti una tragedia e, invece, ti convinco di quanto sia santificante il martirio.
invece la guerra è una merda lurida che ti spappola il cervello, un nero che ti dilaga dentro, un mare di sangue che cola lentamente dissanguandoti, uno schizzo di cervello impazzito che, oltre a uscire dalla scatola cranica a insozzare il terreno con le tue circonvoluzioni cerebrali, si insinua all'interno e ti martoria il pensiero fino a desiderare di morire.
ora. adesso. finalmente. e poi più.
Lebanon è un film, Venezia 2009, è la guerra dentro un carroarmato, mai fuori di essa, è lo sguardo dal mirino del mitragliatore, un occhio a forma di cerchio millimetrato, è piscio, cacca, sangue, terrore.
una guerra in cui niente e dico niente funziona.
in cui nessuno, dico nessuno sa fare niente.
nessuno sa comandare, nessuno sa obbedire, nessuno sa sparare, nessuno sa guidare e leggere i comandi, nessuno sa dove andare.
quell'interno è l'interno di una mente assediata dalla paura. è il panico direi. ogni tanto si apre la botola dall'alto e penetra qualche elemento da fuori.
interno, esterno.
mente, realtà.
a volte è un superiore decisionista che mette ordine, raziocinio, volontà e rassicurazione.
oppure è un cadavere che puzza di morte, fa vomitare, rivoltante, gocciolante.
ogni tanto è un prigioniero cui sono state tolte le scarpe che parla arabo e non si capisce un cazzo di quello che dice. piange, si dimena, insulta e poi soccombe.
ogni tanto è un civile, un falangista, bastardo, invischiato, subdolo e probabilmente solo infinitamente furbo e opportunista.
sussurra parole di morte al prigioniero, gli prospetta una fine lenta e crudele, inimmaginabile.
ogni volta in quell'interno, in quella mente, nel panico, incapace, impaurita, assediata, inesperta si insinua un elemento esterno, con effetti devastanti.
in quella mente-carroarmato-rinoceronte c'è acqua, riflesso dei volti e poi della sporcizia, c'è grasso che cola da tutte le pareti, ci sono comandi che non rispondono più, lentamente soverchiati dall'olio che prende possesso di tutto -e ci informa del tempo che passa e della disfunzionalità che inesorabile avanza-, ci sono volti che progressivemente diventano sempre più luridi neri fino a cancellarne i lineamenti lasciando in risalto solo occhi enormi dilatati e increduli.
alla fine tutto è il buio, come la morte, con occhi-fari spalancati sul terrore.
una psicosi allucinatoria.
fuori accade l'inimmaginabile, sguardi terrorizzati di kamikaze, uomini fatti a pezzi, busti senza arti, asini squarciati che piangono, donne stravolte nude che ricordano in un flash la bellezza e la vita dei corpi interi, sguardi duri irremovibili di vecchi in attesa orgogliosa della fine.
la realtà è inguardabile, è invivibile, ricorda la vita in una mente a mollo nella morte.

non so se dobbiate vederlo. non voglio fare propaganda. io l'ho visto. e ci penso ancora.
ho fatto un viaggio, iniziato e finito tra i girasoli, con un passaggio di morte che mi risuona come un avvertimento.
NON SPARARE.