bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 31 dicembre 2009

Amore è toccare con mano i limiti dell'uomo.

quando Umberto Galimberti scrive sull'amore io mi sento in sintonia cosmica.
ho trovato questo articolo, penso pubblicato su Repubblica qualche anno fa, cercando altro e mi sono fermata.
bisogna fermarsi, ogni tanto, e pensare.
questo pensare per me è vita.

cio' che mi affascina e' la concettualizzazione dell'amore, il pensarlo come forza dinamica e prorompente e collocarlo nella dimensione contemporanea dell'uomo. al di la' della sua connotazione quotidiana di condivisione, al di la' del vivere sociale e delle sue regole, al di la' della comprensione e accettazione. l'amore e' una forza che ci governa, e' un potere emotivo e fisico sessuale penetrante, e' un perdersi incondizionato e misterioso a contatto pauroso a perdifiato con noi stessi nella sfera sconosciuta dell'altro che ci accoglie.



Rispetto alle epoche che ci hanno preceduto, nell'età della tecnica l'amore ha cambiato radicalmente forma. Da un lato è diventato l'unico spazio in cui l'individuo può esprimere davvero se stesso, al di fuori dei ruoli che è costretto ad assumere in una società tecnicamente organizzata, dall' altro lato questo spazio, essendo l'unico in cui l'io può dispiegare se stesso e giocarsi la sua libertà fuori da qualsiasi regola e ordinamento precostituito, è diventato il luogo della radicalizzazione dell'individualismo, dove uomini e donne cercano nel tu il proprio io, e nella relazione non tanto il rapporto con l'altro, quanto la possibilità di realizzare il proprio sé profondo, che non trova più espressione in una società tecnicamente organizzata, che declina l'identità di ciascuno di noi nella sua idoneità e funzionalità al sistema di appartenenza. Per effetto di questa strana combinazione, nella nostra epoca l' amore diventa indispensabile per la propria realizzazione come mai lo era stato prima, e al tempo stesso impossibile perché, nella relazione d'amore, ciò che si cerca non è l' altro, ma, attraverso l'altro, la realizzazione di sé. Nelle società tradizionali, da cui la tecnica ci ha emancipato, vi era poco spazio per le scelte del singolo e la ricerca della propria identità. Oggi l'unione di due persone non è più condizionata dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza, o dal mantenimento e dall' ampliamento della propria condizione di privilegio sociale e di prestigio, ma è il frutto di una scelta individuale che avviene in nome dell' amore, sulla quale le condizioni economiche, le condizioni di classe o di ceto, la famiglia, lo Stato, il diritto, la Chiesa non hanno più influenza e non esercitano più alcun potere, sia in ordine al matrimonio dove due persone in completa autonomia si scelgono, sia in ordine alla separazione e al divorzio dove, in altrettanta autonomia, i due si congedano. L'amore perde così tutti i suoi legami sociali e diventa un assoluto (solutus ab, sciolto da tutto), in cui ciascuno può liberare quel profondo se stesso che non può esprimere nei ruoli che occupa nell' ambito sociale. L' amore diventa a questo punto la misura del senso della vita, e non ha altro fondamento che in se stesso, cioè negli individui che lo vivono, i quali, nell'amore, rifiutano il calcolo, l' interesse, il raggiungimento di uno scopo, persino la responsabilità che l'agire sociale richiede, per reperire quella spontaneità, sincerità, autenticità, intimità che nella società non è più possibile esprimere. è come se l' amore reclamasse, contro la realtà regolata dalla razionalità tecnica, una propria realtà che consenta a ciascuno, attraverso la relazione con l'altro, di realizzare se stesso. E in primo piano, naturalmente, non c' è l'altro, ma se stesso. E questo di necessità, quindi al di fuori di ogni buona o cattiva volontà, perché a chi sente di vivere in una società che non gli concede alcun contatto autentico con il proprio sé, come si può negare di cercare nell'amore quel sé di cui ha bisogno per vivere e che altrove non reperisce? Ma così l'amore si avvolge nel suo enigma: il desiderare, lo sperare, l'intravedere una possibilità di realizzazione per se stessi cozzano con la natura dell'amore che è essenzialmente relazione all' altro, dove i due smettono di impersonare ruoli, di compiere azioni orientate a uno scopo e, nella ricerca della propria autenticità, diventano qualcosa di diverso rispetto a ciò che erano prima della relazione, svelano l'uno all'altro diverse realtà, si creano vicendevolmente ex novo, cercando nel tu il proprio se stesso. Se tutto ciò è vero, nell'età della tecnica, dove sembrano frantumati tutti i legami sociali, l'amore, più che una relazione all'altro, appare come un culto esasperato della soggettività, in perfetta coerenza con l'esasperato individualismo cui non cessa di educarci la nostra cultura, per la quale l'altro è solo un mezzo per l' accrescimento di sé. L'amore non è ricerca della propria segreta soggettività, che non si riesce a reperire nel vivere sociale. Amore è piuttosto l'espropriazione della soggettività, è l'essere trascinato del soggetto oltre la sua identità, è il suo concedersi a questo trascinamento, perché solo l'altro può liberarci dal peso di una soggettività che non sa che fare di se stessa. Che cos'è quel desiderarsi degli amanti, quel loro cercarsi e toccarsi se non un tentativo di violare i loro esseri nella speranza di accedere a quel vertice morale che è la comunicazione vera, al di là di quella finta comunicazione a cui ci obbliga la nostra cultura della funzionalità e dell'efficienza? Per essere davvero il controaltare della tecnica e della ragione strumentale che la governa, amore non può essere la ricerca di sé che passa attraverso la strumentalizzazione dell'altro, ma deve essere un' incondizionata consegna di sé all'alterità che incrina la nostra identità, non per evadere dalla nostra solitudine, né per fondersi con l'identità dell'altro, ma per aprirla a ciò che noi non siamo, al nulla di noi.
Per questo diciamo che amore non è una cosa tranquilla, non è delicatezza, confidenza, conforto. Amore non è comprensione, condivisione, gentilezza, rispetto, passione che tocca l'anima o che contamina i corpi. Amore non è silenzio, domanda, risposta, suggello di fede eterna, lacerazione di intenzioni un tempo congiunte, tradimento di promesse mancate, naufragio di sogni svegliati.
Amore è violazione dell' integrità degli individui, è toccare con mano i limiti dell' uomo.
UMBERTO GALIMBERTI

sempre di Galimberti, su questo blog:
http://nuovateoria.blogspot.com/2009/07/le-cose-dellamore.html

lunedì 21 dicembre 2009

gatto inverno


pensate che oggi è solo il primo giorno ufficiale dell'inverno.
che, beffardo, si è già insinuato senza invito già da mo'..
mi ghiaccia, l'anima e ogni cosa intorno a me.
preferisco 40 gradi ma con in sandali che questa infamia a -10 vestita come un palombaro.
mi consolo con Rodari.

IL GATTO INVERNO
Ai vetri della scuola,
stamattina l'inverno strofina
la sua schiena nuvolosa
come un vecchio gatto grigio:
con la nebbia fa i giochi di prestigio,
e le case fa sparire e ricomparire;
con le zampe di neve imbianca il suolo
e per coda ha un ghiacciolo...
Sì, signora maestra, mi sono un po' distratto:
ma per forza con quel gatto,
con l'inverno alla finestra che mi ruba i pensieri
e se li porta in slitta per allegri sentieri.

venerdì 18 dicembre 2009

Qualcosa passa nella tenebra nostra come un biancore



contratto a progetto, una sigla diversa per dire sempre la stessa cosa.
nessuna garanzia, azienda in crisi, il primo contratto a termine a saltare.
il mio.
buongiorno il contratto scade il 31, dal primo di gennaio non abbiamo più bisogno della sua collaborazione.
la mia.
indipendentemente da competenza e serietà, il mio contratto consente una risoluzione immediata a basso rischio e senza spese aggiuntive.

diciamo così: un segno del destino, la spinta a un cambiamento che mi devo da tempo e che non ho mai avuto il coraggio di portare a termine.
ma non esiste cambiamento, di nessun tipo, senza rischi.
non siamo esenti dalla qualità nostre relazioni e tanto meno dalla valenza delle nostre scelte.
in una serata natalizia delle tante incontro vecchie amiche e mi ritrovo a parlare, ma guarda, di lavoro e di qualità di vita. Valerie si lamenta della non significanza della sua e mi confessa un sogno professionale lontano anni luce dalla sua realtà attuale: aprire un negozio di fiori, con un angolo di lettura e musica e un altro di assaggio gastronomico dolce raffinato e inusuale. Dana è usurata dalla sua carriera e mi dice che vorrebbe mettere la sua competenza al servizio di Medici senza Frontiere.
tutti alla ricerca di un SENSO. tutto ciò che facciamo acquisisce valore se gli diamo un senso, personale o sociale, ma un senso per noi.
viviamo vite in cui siamo estranei da noi stessi e dal mondo che abitiamo, stranieri ed estraniati dalla vita che concludiamo a ogni tramonto senza soggettività nè progettualità.
è tempo di correre dei rischi e acquisire un senso che nutra quella scatola che si chiama anima e custodisce i nostri sogni sentimenti e identità profonda.
ora è quel tempo.

...
Ma giungerà una sera
a queste rive
l'anima liberata:
senza piegare i giunchi
senza muovere l'acqua o l'aria
salperà - con le case
dell'isola lontana,
per un'alta scogliera
di stelle -
Antonia Pozzi

domenica 13 dicembre 2009

l'essere è fame che segue subito la nascita

come sempre ho la sensazione che niente più della pesia possa concentrare forza espressione e incisività in pochi versi, a volte in un parola.

la cadenza della poesia crea un linguaggio unico, che pochi possiedono, comunque.

uno è Antonio Porta: chiaramente m'appaghi per un attimo e accanto ti dimentico l'inverno
una fila di parole che nel tempo di un respiro mi raccontano di un attimo che ricorda una magia di leggerezza e gratitudine alla bellezza.



Ho braccia radici testa in giù
che entrano nelle radici
di molti alberi a testa in su,
odore forte di muschio, di foglie macerate,
pensiero che si libera nel fango,
risale fino alle chiome,
ha sete e implora la pioggia.


L'essere, dico io, a farlo vivere fu una voce
la sua esistenza affidata alla pura oralità
in principio: demone funerario, nato dentro un ventre
come un figlio nuovo di fronte alla morte, amico, e tu
lo cacci fuori, adesso, con fiati senza musica, ma guardami
bene mentre ti parlo dallo specchio, ti sembra tardi
ma non è vero, questa è la notte delle resurrezioni,
l'essere è fame che segue subito la nascita.





Al battito della campana
nell'ultima luce
s'unisce il mio,
grida un passero
volando al riposo.
E sono con te
con la prima stella.


PASSEGGIATA
Donna con melodiose movenze
vai nei primi giorni di marzo
con negli occhi il dono di un tuo amore,
la gioia del silenzio ricordando
e misurando il tuo spirito dolcissimo,
chiaramente m'appaghi per un attimo
e accanto
ti dimentico l'inverno.

martedì 8 dicembre 2009

arrivano i marines a liberare amanda knox?


Ancora una volta solo sconcertata per le notizie che leggo.
ma, per fortuna, leggo anche Guido Olimpio ieri e poi Beppe Severgnini oggi sul corriere e non posso che essere d'accordo con loro.
le ingerenze USA sulla condanna di Amanda Knox sono imbarazzanti.
di più. sono sconcertanti.
quel che viene decretato qui dopo regolare processo è opinabile?
io, come si legge anche sotto, non ho mai avuto idea se la ragazza fosse colpevole o meno. e, a parte il fatto che non lo è da sola ma è stata condannata insieme all'italianissimo Raffaele Sollecito, non l'ho saputo fino al giorno della sentenza. come non lo so e non lo sapevo per il delitto di Cogne. io non so. e se qualcuno che studia il caso da due anni lo suppone, in linea di massima, non posso che credergli.
perchè negli USa devono pensare che, a parte le drammatiche e ingiustificabili lungaggini, qui si faccia della giustizia di serie b?
«Ora pretendo che il governo statunitense intervenga nel caso, in caso contrario sarei molto contrariato», sono state le parole del padre, Curt Knox. Una richiesta in sintonia con certi appelli lanciati in alcune trasmissioni televisive in questi ultimi mesi. Uno su tutti: «Cosa aspetta l' America a mandare un plotone di marines a liberare quella povera ragazza?»
Ecco appunto. a ognuno i propri mezzi e propri sistemi.

I verdetti fai-da-te e quel tifo Usa sbagliato

Il nazionalismo giudizia­rio e la giustizia mediati­ca, quando si mettono insie­me, formano un cocktail mi­cidiale. Lettori-patrioti e giornalisti-giudici ne abbia­mo anche noi, ma quello che sta accadendo negli Sta­ti Uniti, dopo la condanna di Amanda Knox, è imbaraz­zante. Quindi, da meditare.

Televisioni, giornali e siti Internet americani sono convinti che Amanda sia innocente. Perché? Non si sa. Hanno seguito tutte le udienze del processo? Hanno valutato le prove? Hanno ascoltato i testimoni che, ol­tretutto, deponevano in italiano? No, ovviamente: han­no deciso e basta. Lombrosiani al contrario: una ragaz­za così carina, e per di più americana, non può essere colpevole. Ci credo che Hillary Clinton s’interessa al caso: fa politica, non può ignorare gli umori nazionali.

Ci sono, come ho scritto all’inizio, due aspetti della questione. Uno è il nazionalismo giudiziario. Scatta quando «un passaporto è più rilevante di un alibi» co­me ha ricordato Guido Olimpio ieri sul Corriere. Gli Stati Uniti tendono a difendere i propri cittadini sem­pre e comunque (tragedia del Cermis, uccisione di Cali­pari) e mostrano diffidenza verso qualsiasi giurisdizio­ne straniera (da qui la mancata ratifica della Corte pe­nale internazionale). Nel caso dell’Italia, giocano an­che i tempi biblici della nostra giustizia, più volte bac­chettata in sede europea.

Ma c’è un secondo aspetto, altrettanto serio: la giu­stizia mediatica. Meglio: la passione per i processi fai-da-te. Non riguarda solo gli Stati Uniti, ma in que­sti giorni è proprio là che bisogna guardare, se si vo­gliono capire i metodi e le conseguenze. Timothy Egan — un columnist del New York Ti­mes, residente a Seattle, quindi concittadino di Aman­da — scrive che la sentenza «ha poco a che vedere con le prove e molto con l’antica abitudine italiana di salva­re la faccia». E poi: «Il verdetto non dovrebbe avere nulla a che fare con superstizioni medioevali, proiezio­ni sessuali, fantasie sataniche o l’onore dei magistrati della pubblica accusa. Se solo applicassero gli stan­dard di diritto, il verdetto sarebbe ovvio». Ovvio per chi? Egan — bisogna dargliene atto — conosce il caso. Ma sembra deciso, come moltissimi connazionali, a trovare pezze d’appoggio per una sen­tenza che, nella sua testa, è già stata emessa: Amanda è innocente. In giugno — il processo era a metà per­corso — aveva già scritto «Un’innocente all’estero» ( An Innocent Abroad , titolo preso in prestito da Mark Twain, che forse non avrebbe approvato quest’utilizzo). A onor del vero, tra i 460 commenti dei lettori, molti sono pieni di ragionevoli dubbi e disapprovano i giornalisti che partono dalla conclusione e poi cerca­no in tutti i modi di dimostrarla.

Io non so se Amanda Knox sia colpevole. Anzi, non lo sapevo fino a sabato 5 dicembre, quando una giuria l’ha condannata. Ho l’abi­tudine di rispettare le sentenze; e poi non ci vuole una laurea in legge — che possiedo, a differenza di Mr Egan — per sapere come lavora una corte d’assise. È impensabile che i giurati di Perugia abbiano deciso di condannare una ragazza se avevano un ragionevole dubbio. Noi l’accettiamo, i media americani no. Ma trasformare una sentenza drammatica in un’occasione per scatenare tifo e pregiudizi non è un buon servizio alla causa della verità e neppure alla comprensione tra i popoli.


Un linciaggio pubblico, un processo da caccia alla streghe? Ripeto: cosa ne sanno gli amici americani? Di quante informazioni di­spongono quanti condannano l’Italia su in­ternet? Quanto hanno approfondito il caso coloro che, da due anni, scrivono alla nostra ambasciata a Washington, accusano i magi­strati di Perugia e sono pronti a giurare sul­l’innocenza di Amanda? Hanno studiato le prove, valutato le perizie, ascoltato le testi­monianze di un procedimento tanto (trop­po) lungo? No, immagino. Perché giudicano i giudici, allora?


Indigna la carcerazione pre­ventiva? Non piace neanche a noi, soprattut­to quando si prolunga (Amanda e Raffaele si sono fatti due anni di carcere prima della sentenza). Ma fa parte del nostro sistema: in casi particolari, l’imputato attende il proces­so in carcere. Cosa dovremmo dire della pe­na di morte in America? Non la condividia­mo, ma accettiamo che negli Usa sia in vigo­re, sostenuta dalla maggioranza dei cittadi­ni. Un criminale, qualunque passaporto ab­bia in tasca, se commette un omicidio in Texas sa cosa rischia.

Prima di chiudere, un’ultima, doverosa precisazio­ne: neppure la crociata anti-Amanda dei media britan­nici m’è piaciuta, per gli stessi motivi. La nazionalità di Meredith, la vittima, non giustifica un atteggiamen­to del genere. Per una volta — posso dirlo? — ci siamo comportati meglio noi italiani. Abbiamo aspettato la sentenza e ora la rispettiamo, in attesa dell’appello. Ci comportassimo così anche con gli altri delitti celebri di casa nostra — da Garlasco in giù — invece di mon­tare tribunali in televisione e sparare sentenze sul diva­no.

Beppe Severgnini. Corriere della sera, 8 dicembre 2009

martedì 1 dicembre 2009

giocano dentro di me draghi e angeli (Rimbaud)



Schumann.
Hemingway.
Pantani.

solo per citarne alcuni.
tutti affetti dal male della doppia polarità.
fuoco e cenere.



follia e creatività, impulsività, vitalità e disperazione, esasperazione del sentire.
intemperanza e suicidalità.

Già nell'Iliade si leggeva:

http://rigelblack.deviantart.com/gallery/#/d11el5j


"il molto potente Agamennone
furibondo; i suoi neri precordi erano gonfi
di rabbia, fiamma che lampeggia sembravano gli occhi".

è nero scura la sua rabbia, la potenza che sprigiona dalla furia, energia inesauribile.
la stessa energia che fa comporre, tra le tante, la sinfonia di primavera a Schumann, e vincere il tour e il giro nello stesso anno, il 1998, a Pantani, e scrivere libri, tra ossessioni, oscillazioni, vuoti di memoria e impulsività, all'avventuroso Hemingway.
la stessa energia che, cambiata la polarità, li spingerà verso il basso, l'abisso, il nero, il vuoto, l'abuso di sostanze, la cenere, la morte e il suicidio.

Fin dal I secolo a.c., Areteo di Cappadocia è convinto assertore della doppia natura della melanconia, che può essere interpretata come male organico o come male psichico.
"le parole nero e molto e ipereccitato hanno lo stesso significato"
La melanconia si può manifestare in ambivalenza o complementarietà alla sintomatologia della mania – l’oscillazione bipolare tra stati depressivi e stati euforici – oppure sul versante della tristezza patologica, mista a stati di rabbia, di "nero", e di ipereccitazione. Areteo individua come la sofferenza morale si ripercuota sulla fibra fisica, minandola e guastandola, in quel rapporto circolare che lega indissolubilmente corpo e mente nella visione medico-scientifica dell’antichità.
"quando un uomo viene ipereccitato da questo male nasce la malinconia".

dalla malinconia, che si oppone alla mania e ne è l'origine stessa, che si frammenta nell'impulsività e con essa si confonde in una forma mista, da tutto questo possono nascere creatività e arte.


Lady Lazarus
L'ho rifatto
Un anno ogni dieci
Ci riesco

Una specie di miracolo ambulante, la mia pelle
Splendente come un paralume nazi,
Il mio Piede destro,

Un fermacarte
La mia faccia un anonimo, pefetto
Lino ebraico.

Via il drappo,
O mio nemico!
Faccio forse paura?

Il naso, le occhiaie, la chiostra dei denti?
Il fiato puzzolente
In un giorno svanirà.

Presto, ben presto la carne
Che il sepolcro ha mangiato si sarà
Abituata a me

E io sarò una donna che sorride.
No ho che trent'anni.
E come il gatto ho nove vite da morire.

Questa è la Numero Tre.
Quale ciarpame
Da far fuori a ogni decennio.

Che miriade di filamenti.
La folla sgranocchiante nocioline
Si accalca per vedere

Che mi sbendano mano e piede
Il grande sporgliarello.
Signori e signore, ecco qui

Queste sono le mie mani,
I miei ginocchi.
Sarò anche pelle e ossa,

Ma pure sono la stessa, identica donna.
La prima volta sucesse che avevo dieci anni.
Fu un incidente.

Ma la seconda volta ero decisa
A insistere, a non recedere assolutamente.
Mi dondolavo chiusa

Come una conchiglia.
Dovettero chiamare e chiamare
E staccarmi via i vermi come perle appiccicose.

Morire
É un'arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in un modo eccezionale.

Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho la vocazione.

È faccile abbastanza da farlo in una cella.
È faccile abbsatanza da farlo e starsene lì.
È il teatrale

Ritorno in pieno giorno
A un posto uguale, uguale viso, uguale animale
Urlo divertito:

"Miracolo!"
È questo che mi ammazza.
C'è un prezzo da pagare

Per spiare le mie cicatrici,c'e' un prezzo da pagare
per auscultare il mio cuore
Eh sì, batte.

E c'è un prezzo, un prezzo molto caro,
Per una toccatina, una parola,
O un po' del mio sangue

O di capelli o un filo dei miei vestiti.
Eh sì, Herr Doktor.
Eh sì, Herr nemico.

Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
Creature d'oro puro

Che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti le vostre ansietà.

Cenere, cenere
Voi atizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate

Un pezzo di sapone,
Una fede nuziale,
Una protesi dentale.

Herr Dio, Herr Lucifero,
Attento,
Attento.

Dalla cenere io rinvengo
Con le mie rosse chiome
E mangio uomini come aria di vento.

Sylvia Plath


la lacrima che sorride di Mirò.
fusione in un corpo unico della doppia faccia dello spettro dell'umore.